Non vorrei divagare.
Sono un sacerdote, ma è questo il punto. L’inettitudine ad assolvere
serenamente le mie funzioni mi si schianta addosso come una croce che temo di
non saper sopportare: ecco una sorpresa che ormai non è più tale e non per
questo finisce di stupirmi. E di tormentarmi.
Lei mi ha chiesto,
scusandosene, se vi furono buone ragioni per cui a suo tempo decisi di prendere
i voti. È giunto il momento di risponderLe, sebbene dubiti che si tratterà di
una risposta esaustiva.
Vocazione? Non
scherziamo. È una faccenda troppo seria per liquidarla con una parola così
facile e ambigua. A suo tempo, ho risparmiato l'osservazione ai miei superiori
per evitare il pericolo di essere frainteso. La dottrina l'ho accettata senza
difficoltà: questo voglio chiarirlo subito. Credo nei sacramenti, per esempio.
Ho sempre resistito alla tentazione di varcare le Alpi, se intende la metafora,
dottore. Non credo che la volontà umana sia schiava del peccato.
Del resto, l'ho già
detto, non sono un intellettuale, né sarò mai un teologo nel senso corretto
della parola. Vorrei essere un parroco
modesto, servizievole.
Vorrei non essere sfiorato da un corpo altrui senza dover chiudere gli
occhi e nascondere ciò che sento in quei momenti.