27 ago 2015

ancora Paolo Del Colle su Io sono la montagna

 https://www.facebook.com/paolo.delcolle.5?fref=nf&pnref=story

La classifica dei libri più venduti è deprimente. E poi è libro a cui si ripensa. Io l'ho fatto (spero di non diminuire le vendite)
Ripensavo al protagonista di 'Io sono una montagna'; in fondo non non sono mai chiari o evidenti i motivi per cui bisognerebbe raccontare la propria vita. Lui è costretto a scriverla: così deve pure giustificare un'esistenza di merda per non affondarci ancora di più. 
Eppure la lettera non è una confessione, non chiede perdono perchè la sua è una vita che si rifiuta al racconto, oppone ostinatamente resistenza alle parole che devono essere separate dai fatti, da ciò che fa, dal suo lavoro: non devono vedere. Esiste solo fare bene o male un compito e lo sbaglio si paga, anche nel linguaggio che affonda nell'animo del protagonista, lo incalza come i cani inesistenti che sente alle spalle. Questa fuga finale, le parole che improvvisamente gli si rivoltano contro, dimostrano un'autonomia dalla realtà nel momento in cui gliela sbattono in faccia ( fuga )che nella storia è all'inizio), esplode solo nel finale e non per una costruzione narrativa, ma perchè sfalderebbe nel personaggio la sicurezza esibita precedentemente, la pseudo saggezza appresa, la 'relativa' compostezza espressiva, cancellerebbe insomma tutto ciò che ha scritto. E' già questa la possibilità di cambiare vita? Come vuole la letteratura, sono le parole a salvarci e donarci un'altra occasione?

EPIKA EDIZIONI

10 ago 2015

Costruzione narrativa impeccabile, 'Io sono la montagna', di Paolo Del Colle


grazie all'autore del bellissimo SpregamorePaolo Del Colle per questa breve nota sul mio racconto
4 h ·
Un consiglio di lettura,' Io sono la montagna' di Michele Lupo con qualche appunto di lettura
Costruzione narrativa impeccabile, 'Io sono la montagna', un mosaico che si risolve pienamente solo all'ultima riga, dove si arriva in apnea, tanto che non è giusto narrare la vicenda. Ma non vi è compiacimento 'artigianale', è l'equivalente di una visione della realtà, solo apparentemente soggettiva, ma che riflette la decomposizione di un paese violento e impaurito, dove non sai mai se ciò che accade sia frutto di schegge impazzite o abilmente controllate. Sopra la storia del protagonista non c'è il destino, ma stratificazioni tanto più forti quanto più invisibili.
Al protagonista pesa scrivere, non è colto, non ha studiato, ha solo viaggiato per l'Europa in un eterno esilio: deve raccontare la sua storia, ma nel farlo contemporaneamente ricorda e cancella, come se 'le cose che ti rimangono addosso', fossero indicibili o ingiudicabili. Il mondo è retto dalla paura, anche per chi, come la donna cui è indirizzata la lettera, prega in gruppo il Signore, vuole cambiare la gente. Il silenzio di Dio, o la sua distrazione, direbbe il protagonista, è perché poniamo le domande sbagliate, ma del resto non possiamo fare altro, il bene e il male non ci fanno capire la nostra vita. Possiamo avere almeno l'occasione di cambiare, l'opportunità? Che questa sia delegata alla possibile partecipazione a un programma televisivo è l'ultimo tocco di ironia e di dolore che regala Michele Lupo. La realtà è ciò che non si vede, è con lei che si deve fare i conti.

8 ago 2015

http://www.lafeltrinelli.it/libri/michele-lupo/l-onda-sulla-pellicola/9788849702026

Per L'onda sulla pellicola

La lingua impiegata da Michele Lupo, riconfermatasi di recente nella raccolta di racconti I fuoriusciti, Stilo, 2010, è proteiforme. Sanguigna, elettrica, sfacciata, colta, espressionistica. Poetica. La lingua ora di un saltimbanco dell’anima, ora di un virtuoso, ora di un consapevole/inconsapevole nipotino dei nipotini di Gadda: ma non di quelli della seconda generazione, dei cannibali, per intenderci, da cui si ribadisce, anzi, una distanza abissale. Un autore che può stare accanto, con gli opportuni adattamenti epocali, come a parenti più prossimi, a Manganelli, a Ceresa, a Ceronetti, ad Arbasino: nei confronti di quest’ultimo si avverte nel libro una sotterranea ammirazione per l’intelligenza acuta, il gusto dissacratorio, la parola colta. Una lingua stratificata, densa, capace di associazioni inusitate e precise, che il lettore consapevole riconosce come irrinunciabili, felicissime, perfette per la cosa rappresentata e per lui, per il suo godimento. In questo senso è possibile invocare, con cautela, la definizione di barocca anche per la lingua di Lupo, perché barocco è il mondo. Lingua e struttura narrativa si soccorrono vicendevolmente: su entrambe vige come un velo una nonchalance, una sprezzatura, una specie di flânerie, che abbandona il campo della fabula, come attratta da un’altra vicenda o il campo di un dato registro, per sondarne un altro.  

Da un'appassionata e argomentata lettura di Lucia Tosi qui https://rebstein.wordpress.com/2011/03/05/londa-sulla-pellicola/

Michele Lupo porta Dio sul banco degli imputati Recensione di Saul Stucchi


http://www.alibionline.it/michele-lupo-porta-dio-sul-banco-degli-imputati/

“Quando li beccavano e li rimandavano indietro, Vera, Dio mi sa che spariva. È solo un sospetto e non ti alterare per così poco. Dio non ce la fa a controllare tutto. Non l’aveva prevista così difficile, il Signore. È per questo che toppa il bersaglio a volte. Se quelli riuscivano a trasformare la paura fino al punto di stare quattro giorni senza mangiare, Dio avrebbe dovuto rispettarli, Vera. Dio si sopravvaluta. Fa errori da pivello”.

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