Il paesaggio, per dir così, di una città come Berlino appena successivo
alla catastrofe della seconda guerra mondiale è un motivo di fascino noto. Non
v’è chi non sia stato emotivamente coinvolto, fors’anche soggiogato dai lugubri
documentari russi girati fra le rovine di una città tragica e terribilmente
affascinante. Il luogo, il periodo del romanzo d’esordio di Dan Vyleta, sono
quelli. L’uomo di Berlino, (Longanesi, traduzione di Paola Merla) offre lo stesso continuum
grigio eppure ricco di gradazioni sulla stessa tonalità che le immagini
storiche hanno sedimentato nella
nostra memoria.
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