IRA - LA PASSIONE FURENTE
il mulino
“L’ira è stata a lungo la passione più importante e più studiata”, ci avverte già nell’incipit il filosofo Remo Bodei, autore di questo piccolo e molto denso volume che riassume in un excursusstorico coinvolgente il senso delle variazioni fenomenologiche e valutative intorno a una delle cosiddette “passioni tristi” della nostra specie. L’ira viene letta ovviamente attraverso la storia letteraria e quella filosofica, le più indicate per farci un’idea di come i “vizi capitali” siano stati pensati dall’umanità.
Si intuisce dalle prime pagine – e lo confermano in modo esplicito quelle finali, al postutto le meno interessanti perché più psicologistiche e quasi precettive – che Bodei, nonostante la consideri un evidente segno di insicurezza, si colloca in una posizione di perfetto, lodevole equilibrio fra la condanna e l’assoluzione. La considerazione preliminare è che per lo più “fin dall’antichità le si imputa la perdita di beni i più preziosi, la ragione e l’autocontrollo”. L’essere fuori di sé dell’irato è dovuto a un’offesa che si ritiene ingiusta; diversamente dal risentimento che ristagna, e dall’odio, che medita la vendetta a freddo, l’ira esplode e dura poco. Ci sfigura fisicamente, aumentano i battiti cardiaci, si dilatano le pupille, si alza la voce etc: si capisce che intere epoche l’abbiano osteggiata come una manifestazione anche esteticamente riprovevole.
La sua dismisura per Galeno era un sintomo della follia, e a nulla vale saperla strutturata in una logica. A Bodei, che questo invece lo sa, interessa ricostruirne una possibile genealogia, analizzando l’ira nel tempo e nello spazio, nel rapporto con il potere (ed è qui, quale reazione all’ingiustizia, all’arbitrarietà e alla violenza del dominio, che essa trova le sue maggiori giustificazioni, e parliamo ovviamente di liberazione e legittimità sociali, di gruppo, di classe, di genere), nelle sue declinazioni culturali più varie. Stante la sua ragione biologica, connaturata a un istinto difensivo, non stupisce che non appaia per nulla disdicevole nelle società segnate da un’etica dell’onore, come quella omerica, in generale all’interno di quelle che vengono chiamate “civiltà della vergogna” (si pensi ai samurai che per averlo perduto, l’onore, potevano suicidarsi). Diversamente da quanto accade nelle “civiltà della colpa”, che se trovano nelle religioni il loro spazio più ovvio, principiano in Occidente con Socrate (non inizia con lui ladécadence per Nietzsche?); ma il percorso è accidentato e controverso. Se l’Iliade è il poema dell’ira però non vuol dire che Achille sia incapace di riflettere. E Aristotele ritiene legittima l’ira che difende la propria onorabilità, purché motivata e proporzionata alle giuste ragioni, specie quelle del cittadino che vede tradire i principi della polis. Il monoteismo ebraico d’altronde mostra subito le sue contraddizioni: il dio veterotestamentario è notoriamente permaloso e non le manda a dire, e una teologia dell’ira rigorosa non può omettere gli aspetti di Gesù meno accomodanti. Gesù difatti oscilla: invita a perdonare, a porgere l’altra guancia, ma appare bellicoso quando annuncia di aver portato la spada (Mt 10, 34-36), e ai mercanti del Tempio non dovette sembrare un compagnone spensierato. Scrive Bodei: “L’insegnamento dei Vangeli è stato spesso edulcorato”. Sempre per restare in ambito cristiano del resto, che dire di Lattanzio e Tertulliano e dell’ira ferale che accompagnerà la vendetta postuma di Dio? E Agostino forse non preferisce l’ira all’odio? E Tommaso? E Dante? Egli predispone la sua palude Stigia alla bisogna apposta per gli iracondi, ma essi sono di una specie che non esaurisce il campionario: vi crepano quelli che non combatterono per cause giuste.
Il libro di Bodei dunque è ricchissimo di spunti, ricorda come spesso nelle comunità ebraiche l’ira di uno solo potesse procurare guai serissimi a tutti gli altri, o come nelle filosofie ellenistiche per essa non vi fosse spazio, come del resto presso i buddisti (aggiungendo l’ira karma cattivo a karma cattivo) e come del resto, invece, per un filosofo unico e singolarissimo quale Giordano Bruno l‘ira potesse persino essere nobile. Ma per comprendere il valore di questo libro valga l’esempio di Medea, la meno spiritosa della compagnia: dalle origini del mito, esso è stato riscritto sino al secondo ‘900. Nel modo diverso di pensarlo, di giudicare la protagonista, si scrive tutta una storia dell’umanità. Leggere per credere.