18 apr 2012

Chi ha paura della critica musicale?



Copertina
Si utilizzano facilmente parole pesanti per dire il commercio di favori e impudenze e porcherie assortite che infestano il mondo editoriale – compreso l’indotto di letture, silenzi sospetti, e marchette vendute per recensioni. Si parla di mafia, per dire. Che stona un po’ – essendo la sua storia tout court quella tragica dell’Italia che moderna non è stata mai.Non che non siano configurabili come crimini quelli dell’editoria nostrana afflitta da quarantenni che scrivono come adolescenti (rockettari preferibilmente) e signore lagnose che lamentano di non essere morte da piccole. Saltati i confini (incerti per definizione) fra letteratura e ciò che letteratura non è, lo stesso è successo con la musica, ma per motivi meno ignobili, interni alla cosa in sé. Si è rivisto il concetto stesso di musica colta, si è compreso e dimostrato come da Bach a Mozart il discrimine fra l’intrattenimento e l’arte non sempre sia stato così perspicuo – e via di questo passo, senza peraltro temere l’indistinto ciarlìo e l’assai imbarazzante confusione che ha finito per mettere tutto sullo stesso piano. A ciò hanno contribuito migliaia di entusiasti non del tutto alfabetizzati che hanno scritto e scrivono di musica extracolta affidandosi a opache locuzioni (da quanti “tappeti sonori” sono state afflitte le tipografie italiane?) e soprattutto a insensate profusioni di affetti e sentimenti scambiati per critica – quello emotivo avanzando diritti planetari come “discorso” inconfutabile e apodittico, pena passare per barbogi accademici anche quando l’università ha smesso persino di essere un ricordo.Ora, l’editore romano Carocci, nei Quality paperbacks, ha pensato una collana, “La canzone d’autore, fra musica e poesia”, diretta da Stefano La Via, dedicata al genere della canzone d’autore, che tiene conto della interazione fra l’aspetto letterario e quello musicale in una prospettiva che non si ha timore di definire “colta” sebbene in “un linguaggio comprensibile anche ai non addetti ai lavori”. Qui non è tanto questione di divulgazione alta, quanto - questo lo diciamo noi - di rovesciare il paradigma in auge in questi anni deprimenti in cui un riccioluto furbetto del quartierino mediologico-musicale come G.Allevi può far credere di essere un musicista che “riaggiorna la classicità” (???), facendo il paio con l’ignoranza diffusa di chi scrivendo di musica se la cava con “sogni, energia, sentimenti”… Qui invece di (s)parlare per via di mere impressioni (quando va bene) si tenta la via dell’analisi – opinabile sempre, ma con cognizione di causa. Difatti, nei volumi dedicati a Fabrizio De André, Cantastorie fra parole e musica (di Claudio Cosi e Federica Ivaldi), Bob Dylan, Un percorso in sedici canzoni (di Alessandro Bratus), e Paolo Conte, Un rebus di musica e parole (di Mauro Bico e Massimiliano Guido), usciti alla fine del 2011, il lavoro è fatto da musicologi, italianisti, ricercatori. Che mica si vuol dire una garanzia a prescindere – ma intanto, assicurare un minimo di “basi filologiche per fondare un’esperienza analitica e interpretativa quantomeno solida” (La Via nella prefazione al volume su De André). Che vuol dire? Vuol dire argomentare, per esempio. Nella tragicommedia per cui tutti scrivono e nessuno legge va ricordato che non c’è critica senza capacità di argomentazione – e questo si fa sui testi. E sulla tradizione che li precede, ne è implicata, nello specifico quella letteraria e quella musicale. Si tratta di linguaggi, non di mozioni degli affetti. Né mancano in ogni volume esaustive discografia, bibliografia, indici analitici… Inutile dire che sulla stampa non ne ha parlato nessuno. Se il volume dedicato a De André ne percorre l’opera attraverso capitoli tematico-cronologici, fra una poetica dei “miserabili” e la rielaborazione di uno schema di cantata tedesca del ‘700 ('Tutti morimmo a stento') o una rilettura del Volume VIII, in cui l’influenza di Bob Dylan è mostrata attraverso l’utilizzo di nuove linee melodiche, nuove soluzioni ritmiche e intervalli inopinati, nel libro sull’americano lo studio si concentra su sedici canzoni “esemplari”, mentre sei sono i pezzi che bastano ai due autori del lavoro su Paolo Conte lungo la linea dell’intera carriera per costruirne un profilo artistico plausibile. L’analisi del racconto musicale investe in tutti i casi strutture metriche e cifre ritmico-melodico-armoniche, tecnicamente investigate nei rapporti reciproci fra testo e partitura, versi e musica. Ottima iniziativa. Ottimo Carocci.
Si astengano i pigri e gli accidiosi.

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