31 ott 2011

tratto dal racconto "Cimento del tempo libero"


L'appuntamento per i principianti è per il tardo pomeriggio, non al magazzino ma direttamente nella sede del corso. Al telefono, il giorno prima, non ha saputo evitare un tono insofferente: un lavoro in cui il solo guadagno sarebbe quello sulle provvigioni delle vendite non è un lavoro, non per lui. E sulla ditta ha sentito strane storie. Ma il sollecito di pagamento della banca è lì sul tavolo. Matteo non ha scelta.
Arriva in via Bernazzoni che le ombre stanno già dissolvendosi in un alone sempre più compatto e i chiaroscuri si diradano in un cielo definitivamente nero. Dentro, gli uffici sono illuminati da una luce fredda, violacea. La scritta SPECIAL LIFE campeggia ovunque.
Lo fanno sedere accanto a una dozzina di persone; le sedie sono sparse di fronte al manager che ha iniziato da poco la lezione.
Non è lui.
– Innanzitutto, – sta dicendo l'uomo, seduto su una specie di cattedra, con una gamba penzolante – bisogna imparare il controllo dei muscoli facciali. Azzerare l'emotività: ciò che deve trapelare dai movimenti del volto dovete deciderlo voi.
Matteo cerca di non distrarsi, di non pensare alla faccia liscia, agli occhi piccoli dell’uomo.
– La nostra è una verità indiscutibile, – dice il manager – un sapere impossibile da confutare. Per questo il sorriso deve essere discreto ma energico. SPECIAL LIFE sarà scritto sulle vostre facce, come un benessere al quale si potrà soltanto obbedire – qui l’uomo fa una pausa, allungandosi la manica della camicia bianca sotto quella della giacca. Matteo butta un’occhiata alla sua pancia, un ammasso di adipe fuori controllo, un ingranaggio zeppo di crepe falle errori.
– Punto secondo: ricordate che l'altro è un cliente anche quando non sa di esserlo, e che il bravo venditore è colui che ce lo fa diventare. – Si interrompe di nuovo. Ostenta sicurezza,  è padrone di sé, non c’è dubbio. – Sta a voi determinare i suoi bisogni, e… attenzione alle mani sudate! – accenna un mezzo sorriso. – Danno fastidio in sé e sono un bruttissimo segno.
Matteo percepisce un lavorio arruffato dentro le budella. Chissà se può filarsela attraverso la grande finestra vicina. Attraverso la protezione acustica dei doppi vetri, i larghi viali del quartiere sembrano silenziosi anche all’ora di punta. Per un istante insegue le luci trafitte nei lampioni a un ritmo di colori alternati, gialli blu viola. Quando le macchine rallentano, lo sfondo si arrossa.
– Se non lo sa, tu sei lì apposta per farglielo capire – l’uomo fissa improvvisamente Matteo negli occhi. – Perché tu non stai semplicemente vendendogli qualcosa, tu gli stai cambiando la vita. Per questo, i gesti debbono essere precisi.
Matteo fa finta di niente – fanno tutti finta di niente. Ma l’esibizione della sua pancia lo fa sentire colpevole. Le puzze, chissà perché, le si associano più facilmente ai ciccioni.
– Punto terzo: dovrete essere sicuri di voi stessi, sgravarvi dei pesi che vi portate dentro; noi siamo qui apposta. Alcuni forse non sosterranno la tensione del training, è possibile, ma chi dovesse superare questa fase, si troverà di fronte un nuovo, straordinario orizzonte – il manager si accende una sigaretta e lascia trascorrere alcuni interminabili secondi in silenzio, seminando lo sguardo qua e là fra i disoccupati dinanzi a lui. A Matteo, che non ha mai fumato in vita sua, viene voglia di ficcarsi una sigaretta fra le labbra, inalare una cosa qualsiasi.
– Fisserete lo sguardo sugli occhi tremolanti del vostro cliente – l’uomo strizza gli occhi per un istante, compiaciuto dell’exploit letterario. – Dovrete essere bravi a smascherare chi tenta di difendersi con un atteggiamento che vorrebbe sembrare distaccato e invece è goffo, credetemi: puerile. Perché li conosco, i clienti, e va da sé che qualsiasi estraneo che voi incrociate per strada è un potenziale cliente. Imparerete che alcuni di loro simulano uno scetticismo che non possono permettersi; voi sarete lì apposta, perché sapete che il benessere che ostentano è illusorio: è per questo che abbiamo creato SPECIAL LIFE, con i suoi prodotti meravigliosi, per la salute fisica ma anche per quella della mente.
Si interrompe. Fa una lunga tirata e poi di nuovo gli spara addosso il suo sguardo acuminato. – Dovrete farlo sentire a disagio, il cliente, e anche in colpa, possibilmente: in colpa per essere stato così sbadato, così vicino a fare una figura da cretino, dovrebbe arrossire per essersi separato dal mondo che conta, per aver isolato la famiglia e allontanato i figli dalla modernità e dal benessere – fa ancora un altro tiro. – Solo allora, quando si sentirà soffocare dal disagio, firmerà il contratto che voi gli avrete steso sul tavolo come una possibilità di salvezza.
Quando riempie il bicchiere di acqua minerale, sembra che vi si rifranga una specie di melodia orientale, il suono di una glassarmonica, una bolla pronta a schiudersi sulla magia di quella parola: salvezza. – Se poi trovate un individuo che rifiuta di comunicare… bene, sappiate che può capitare, talvolta. Inutile nasconderlo… – altro tiro, altra pausa. – Si tratta di persone irresponsabili. Una minoranza. Gente che pone domande prive di risposte possibili. Disadattati. Perché deve esserci sempre una risposta a una domanda plausibile. Se non c'è, vuol dire che la domanda è sbagliata. Tenetelo a mente: una domanda imprevista ha sempre un difetto all'origine. Se non funziona neanche quando allungate sul banco il campione dei fluidi per il bagno rilassante significa che queste persone non sono più in grado di allacciare un rapporto armonioso con il prossimo – spegne la sigaretta. – Al cliente ottuso invece, che vorrebbe sapere in cosa consiste il beneficio di questi prodotti, il bravo venditore non è tenuto a rispondere subito: in prima battuta mostrerà un sorriso folgorante che costituirà esso stesso la risposta. Sta lì il beneficio, in quella disinvolta sicurezza di sé. Non c'è altro motivo per cui qualcuno debba comprare qualcosa, di cui prima non aveva avvertito la necessità, se non la sua insicurezza, il vuoto in cui brancola come un cane randagio… – a questo punto, il silenzio con cui lo ascoltano è teso come un arco.
– Naturalmente, questa freddezza dovrà essere temperata dalla giusta carica di simpatia. Dovrete sembrare molto disponibili; positivi e tranquilli – pausa. – Oh, e un'altra cosa: preoccupatevi di essere ripetitivi, insistete sugli stessi argomenti. La gente è sensibile a questo. Anche alla ripetizione del suo nome. Ripetete spesso signor Rossi, vorrei dirle signor Rossi o ma certo signor Rossi. Si sentono lusingati… – lascia cadere il discorso, almeno a Matteo così sembra (lui ai cognomi aveva sempre pensato in modo diverso).
– Infine – ed è l’unica volta in cui dà l’impressione di lasciarsi andare – vi pare che anche la ragazza più carina del mondo non nasconda da qualche parte scampoli di carne malandata, inestetismi imbarazzanti, punti deboli della sua personalità?
Nessuno risponde. Qualcuno fa il tipico sorriso di quando ci si chiede se è il caso di sorridere.
– Non voglio dire che questo sia un lavoro facile. Paradossalmente, lo capiranno meglio coloro che riusciranno ad andare avanti. Tuttavia, fallire in questo lavoro è un brutto segno di mancanza di personalità, di autorevolezza, di capacità comunicativa. È un campanello d'allarme! – pausa. – Perdonate la mia franchezza – intreccia le dita – ma, come dire... sareste persone che le cose possono soltanto comprarle – ride. Una risatina secca, bruciata in un attimo. – D'altronde, sono sicuro che qui siamo fra individui capaci, responsabili, vincenti – termina, con lo stesso sorriso che Matteo immagina di dover acquisire. – Per oggi è tutto.


scritto nel 1999, pubblicato prima in rivista (tabula rasa n 6) poi nella raccolta "I fuoriusciti" - 2010

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