L'appuntamento per i principianti è
per il tardo pomeriggio, non al magazzino ma direttamente nella sede del corso.
Al telefono, il giorno prima, non ha saputo evitare un tono insofferente: un
lavoro in cui il solo guadagno sarebbe quello sulle provvigioni delle vendite
non è un lavoro, non per lui. E sulla ditta ha sentito strane storie. Ma il
sollecito di pagamento della banca è lì sul tavolo. Matteo non ha scelta.
Arriva in via Bernazzoni che le
ombre stanno già dissolvendosi in un alone sempre più compatto e i chiaroscuri
si diradano in un cielo definitivamente nero. Dentro, gli uffici sono
illuminati da una luce fredda, violacea. La scritta SPECIAL LIFE campeggia
ovunque.
Lo fanno sedere accanto a una
dozzina di persone; le sedie sono sparse di fronte al manager che ha iniziato
da poco la lezione.
Non è lui.
– Innanzitutto, – sta dicendo l'uomo,
seduto su una specie di cattedra, con una gamba penzolante – bisogna imparare
il controllo dei muscoli facciali. Azzerare l'emotività: ciò che deve trapelare
dai movimenti del volto dovete deciderlo voi.
Matteo cerca di non distrarsi, di
non pensare alla faccia liscia, agli occhi piccoli dell’uomo.
– La nostra è una verità
indiscutibile, – dice il manager – un sapere impossibile da confutare. Per
questo il sorriso deve essere discreto ma energico. SPECIAL LIFE sarà scritto
sulle vostre facce, come un benessere al quale si potrà soltanto obbedire – qui
l’uomo fa una pausa, allungandosi la manica della camicia bianca sotto quella
della giacca. Matteo butta un’occhiata alla sua pancia, un ammasso di adipe
fuori controllo, un ingranaggio zeppo di crepe falle errori.
– Punto secondo: ricordate che l'altro
è un cliente anche quando non sa di esserlo, e che il bravo venditore è colui
che ce lo fa diventare. – Si interrompe di nuovo. Ostenta sicurezza, è padrone di sé, non c’è dubbio. – Sta a
voi determinare i suoi bisogni, e… attenzione alle mani sudate! – accenna un mezzo
sorriso. – Danno fastidio in sé e sono un bruttissimo segno.
Matteo percepisce un lavorio arruffato
dentro le budella. Chissà se può filarsela attraverso la grande finestra
vicina. Attraverso la protezione acustica dei doppi vetri, i larghi viali del
quartiere sembrano silenziosi anche all’ora di punta. Per un istante insegue le
luci trafitte nei lampioni a un ritmo di colori alternati, gialli blu viola.
Quando le macchine rallentano, lo sfondo si arrossa.
– Se non lo sa, tu sei lì apposta
per farglielo capire – l’uomo fissa improvvisamente Matteo negli occhi. – Perché
tu non stai semplicemente vendendogli qualcosa, tu gli stai cambiando la vita. Per
questo, i gesti debbono essere precisi.
Matteo
fa finta di niente – fanno tutti finta di niente. Ma l’esibizione della sua
pancia lo fa sentire colpevole. Le puzze, chissà perché, le si associano più
facilmente ai ciccioni.
– Punto terzo: dovrete essere
sicuri di voi stessi, sgravarvi dei pesi che vi portate dentro; noi siamo qui
apposta. Alcuni forse non sosterranno la tensione del training, è possibile, ma
chi dovesse superare questa fase, si troverà di fronte un nuovo, straordinario orizzonte
– il manager si accende una sigaretta e lascia trascorrere alcuni interminabili
secondi in silenzio, seminando lo sguardo qua e là fra i disoccupati dinanzi a
lui. A Matteo, che non ha mai fumato in vita sua, viene voglia di ficcarsi una
sigaretta fra le labbra, inalare una cosa qualsiasi.
– Fisserete lo sguardo sugli occhi tremolanti del vostro cliente – l’uomo strizza gli occhi per un istante,
compiaciuto dell’exploit letterario. – Dovrete essere bravi a smascherare chi tenta di difendersi con un atteggiamento che vorrebbe sembrare distaccato
e invece è goffo, credetemi: puerile. Perché li conosco, i clienti, e va da sé
che qualsiasi estraneo che voi incrociate per strada è un potenziale cliente.
Imparerete che alcuni di loro simulano uno scetticismo che non possono
permettersi; voi sarete lì apposta, perché sapete che il benessere che
ostentano è illusorio: è per questo che abbiamo creato SPECIAL LIFE, con i suoi
prodotti meravigliosi, per la salute fisica ma anche per quella della mente.
Si interrompe. Fa una lunga tirata
e poi di nuovo gli spara addosso il suo sguardo acuminato. – Dovrete farlo
sentire a disagio, il cliente, e anche in colpa, possibilmente: in colpa per
essere stato così sbadato, così vicino a fare una figura da cretino, dovrebbe
arrossire per essersi separato dal mondo che conta, per aver isolato la
famiglia e allontanato i figli dalla modernità e dal benessere – fa ancora un
altro tiro. – Solo allora, quando si sentirà soffocare dal disagio, firmerà il
contratto che voi gli avrete steso sul tavolo come una possibilità di salvezza.
Quando riempie il bicchiere di
acqua minerale, sembra che vi si rifranga una specie di melodia orientale, il
suono di una glassarmonica, una bolla pronta a schiudersi sulla magia di quella
parola: salvezza.
– Se poi trovate un individuo che rifiuta di comunicare… bene, sappiate che può
capitare, talvolta. Inutile nasconderlo… – altro tiro, altra pausa. – Si tratta
di persone irresponsabili. Una minoranza. Gente che pone domande prive di
risposte possibili. Disadattati. Perché deve esserci sempre una risposta a una
domanda plausibile. Se non c'è, vuol dire che la domanda è sbagliata. Tenetelo
a mente: una domanda imprevista ha sempre un difetto all'origine. Se non
funziona neanche quando allungate sul banco il campione dei fluidi per il bagno
rilassante significa che queste persone non sono più in grado di allacciare un
rapporto armonioso con il prossimo – spegne la sigaretta. – Al cliente ottuso
invece, che vorrebbe sapere in cosa consiste il beneficio di questi prodotti,
il bravo venditore non è tenuto a rispondere subito: in prima battuta mostrerà
un sorriso folgorante che costituirà esso stesso la risposta. Sta lì il
beneficio, in quella disinvolta sicurezza di sé. Non c'è altro motivo per cui
qualcuno debba comprare qualcosa, di cui prima non aveva avvertito la necessità,
se non la sua insicurezza, il vuoto in cui brancola come un cane randagio… – a
questo punto, il silenzio con cui lo ascoltano è teso come un arco.
– Naturalmente, questa freddezza
dovrà essere temperata dalla giusta carica di simpatia. Dovrete sembrare molto
disponibili; positivi e tranquilli – pausa. – Oh, e un'altra cosa: preoccupatevi
di essere ripetitivi, insistete sugli stessi argomenti. La gente è sensibile a
questo. Anche alla ripetizione del suo nome. Ripetete spesso signor Rossi,
vorrei dirle signor Rossi o ma certo signor Rossi. Si sentono lusingati… –
lascia cadere il discorso, almeno a Matteo così sembra (lui ai cognomi aveva sempre
pensato in modo diverso).
– Infine – ed è l’unica volta in
cui dà l’impressione di lasciarsi andare – vi pare che anche la ragazza più
carina del mondo non nasconda da qualche parte scampoli di carne malandata,
inestetismi imbarazzanti, punti deboli della sua personalità?
Nessuno risponde. Qualcuno fa il
tipico sorriso di quando ci si chiede se è il caso di sorridere.
– Non voglio dire che questo sia
un lavoro facile. Paradossalmente, lo capiranno meglio coloro che riusciranno
ad andare avanti. Tuttavia, fallire in questo lavoro è un brutto segno di
mancanza di personalità, di autorevolezza, di capacità comunicativa. È un
campanello d'allarme! – pausa. – Perdonate la mia franchezza – intreccia le
dita – ma, come dire... sareste persone che le cose possono soltanto comprarle –
ride. Una risatina secca, bruciata in un attimo. – D'altronde, sono sicuro che
qui siamo fra individui capaci, responsabili, vincenti – termina, con lo stesso
sorriso che Matteo immagina di dover acquisire. – Per oggi è tutto.
scritto nel 1999, pubblicato prima in rivista (tabula rasa n 6) poi nella raccolta "I fuoriusciti" - 2010