da Lankelot
Sembrerebbe un tipo alla Keating, quello
del molto sopravvalutato "L’attimo fuggente", il professore (principale
protagonista) del romanzo d’esordio dell’americano di origini russe
Alexander Maksik, Non ti meriti nulla. Le assonanze col personaggio di
Robin Williams in effetti non mancano: l’ascendenza dell’insegnante di
letteratura sui ragazzi, l’ostentazione di un certo spirito libertario,
la democratizzazione del punto di vista sollecitata dall’invito al
dialogo, al confronto. Ma
questo Silver è una figura ben più complessa; non gli passa minimamente
per la testa di abdicare alla lettura formale dei testi, benché il loro
significato per la vita sia in fondo l’essenziale delle stesse ragioni
letterarie, non pensa di cavarsela con due versi enfatici. Ancora,
invita alla complessità concettuale non meno di quanto invochi le
ragione del cuore, lavora sulla lettura intensa di romanzi impegnativi,
affrontati nel corpore vili
delle contraddizioni, dei personaggi e dei loro dialoghi, delle svolte
nevralgiche in cui si snodano le scelte esistenziali. Ed è proprio
questo la premessa che apre al cuore delle sue lezioni (e del libro): il
passaggio dal grado zero di natura (ché l’uomo, insegna Sartre, è privo
di essenza, non è un ente costruito in funzione di uno scopo)
all’esistenza, che è ciò che lo definisce, ossia l’azione o la sua
mancanza, la responsabilità della scelta - il che chiama in causa
peraltro il senso ultimo dell’insegnamento, la coerenza del professore
con ciò che “predica”.
Il
luogo che in cui tendono ad accentrarsi le storie è l’”International
School Of France” (una scuola per rampolli di famiglie più che agiate,
destinate per un motivo o l’altro a fermarsi a Parigi per qualche
tempo). Merito del
professore (e di Maksik) è caricare di tensione le sue lezioni. Silver
non condivide con il famoso Keating quel troppo di ingenuità che lo
rendeva – almeno agli occhi di scrive – stucchevole. Silver conosce il
suo mestiere come nessun altro, ci sa fare sul serio. Ha talento,
competenze, passione, dispone del carisma che una sciagurata ideologia
qui da noi ha guardato con sospetto e che costituisce un aspetto non
esornativo del mestiere (peraltro nei romanzi, gli insegnanti, si sa,
quando non sono sfigaterrimi – quasi sempre, specie in Italia, dove gli
scrittori non si rendono conto di aver introiettato lo stesso
immaginario economico che dicono di biasimare – appaiono fascinosi). “Se
sei molle all’inizio affogherai” dice Silver. L’insegnamento è anche
tecnica teatrale, la cattedra condivide con la scena la necessità di
calibrare i toni, di disciplinare l’actio
nell’orchestrazione retorica, misurare gesti e regolare gli sguardi.
“Così li incanti mostrandoti duro, fissando dritto negli occhi quelli
che chiacchierano, stroncando chi ti sfida. Gli dai responsabilità e
libertà. Gli mostri che ti importa, che ami quello che fai”. Sia chiaro,
in questa recita però ne va della vita. Non solo perché Silver crede in
quello che fa. Fra studenti della più svariata provenienza (compreso il
musulmano Abdul che non manda giù l’insinuazione nemmeno troppo
sottile che dio non esista e che procura per questo frizioni destinate a
esplodere fra Silver e la dirigenza, interessata ovviamente solo alle
rette degli studenti), svolgono un ruolo decisivo Gilad e Marie. I due
ragazzi difatti, e non sono i soli, se ne innamorano. Gilad, di suo
timidissimo, incerto, fragile, figlio di una coppia alla deriva, di un
padre violento che non sopporta la sua delicatezza, accetta l’idea che
nella fascinazione che subisce possa insinuarsi anche una componente
erotica, mentre Marie (una studentessa della scuola che però non
frequenta le lezioni di Silver) si ritrova fra le sua braccia per una
manovra ordita dall’amica Ariel –, controversa, disinvolta ma tutt’altro
che pacificata ragazza.
Ora,
il coraggio della scelta mette alla prova lui per primo, il professore,
incerto se lasciarsi andare all’attrazione tutta fisica per Marie – in
realtà è lei che lo ha sedotto. Ma la tenuta che mette davvero in gioco
il valore del suo insegnamento, il patto fiduciario che li lega ai
ragazzi (in definitiva, la sua stessa persona) rischia di crollare
quando durante una grande manifestazione, si mostra inerte rispetto alla
violenza di un ragazzo delle banlieues.
La passione che ha sempre tenuto al centro delle sue lezioni, di cui si
è fatto mentore, si esaurisce dopo l’invito a placare le anime fra due
fazioni, ma di fronte all’esaltato criminale che lo aggredisce e gli
sputa in faccia, il professore non reagisce. E il fatto non passa
inosservato.
Il
romanzo, che ha trovato un editor convinto in Alice Sebold, si
costruisce alternando le tre voci, come a strutturare nella sua forma lo
spirito “plurale” che tematizza. Le vicende sono viste e raccontate dai
rispettivi punti di vista (con una lingua che, si evince dalla
traduzione, cerca di imitare in modo plausibile lessico e sintassi dei
tre, compreso il fastidioso birignao dei ragazzi “voglio dire, “tipo”,
“come butta”…). Tutto ciò conferisce un aspetto prismatico alla
narrazione e aggiunge tensione e interesse a una storia che non teme di
prendere di petto questioni centrali della vita umana: amore, coraggio,
responsabilità, senso stesso della letteratura. Un bell’esordio.