11 ott 2011

Edmund De Waal




Uno non se lo immagina– o forse sì? –che una lezione di stile, di sguardo, di cosa possa essere oggi letteratura, possa dargliela non uno scrittore, ma un tizio che è un professionista sì, ma d’altro - di ceramica nel caso, e persino un talento, pare, nel suo mestiere.
Invece questo è quello che accade con “Un’eredità di avorio e ambra“, libro di superba fattura targato Bollati Boringhieri (l’autore si chiama Edmund De Waal, è inglese), di genere inclassificabile, che l’autore chiarisce subito di non intendere come una saga (il cui codice spesso convenzionale e consolatorio rifiuta a priori: “non ho voglia di lasciarmi invischiare dalle dinamiche della saga d’altri tempi e scrivere un’elegia della perdita in salsa mitteleuropea”), che magari ha qualcosa del memoir, e tratti superficialmente imparentabili col romanzo storico o di viaggio e quant’altro – e invece le lambisce tutte queste forme oltrepassandole, come vacue definizioni, impegnato com’è a definirle lui, il libro, le cose, a renderle di geometrica, plastica, luminescente evidenza (come il romanzo italiano, per dire, ormai fa sempre più raramente).


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