12 ott 2011

Io i trentenni italiani non li capisco


Paolo Di Paolo

Dove eravate tutti


copertina del libro
Moralismo temperato ma insistito di un giovane vago, uno spillato da questi anni berlusconiani, che avvia una cauta ma preoccupata, non sempre convinta (parrebbe) indagine sull’identità di suo padre (dei padri), un insegnante appena andato in pensione, che invece di godersela pare invischiarsi in un’azione assurda: investire con la sua auto un ex studente. Spinto da un rancore incistato come una seconda pelle (gli scrittori italiani si sono convinti che gli insegnanti siano tutti così: mah…), approfitta di un incontro (casuale?) con il teppistello e prova a farlo fuori, così per pareggiare il peso di una rottura di scatole pluriennale.La notizia mette a soqquadro la famiglia, fa emergere contrasti prima tenuti a bada con la solita, solida armatura di un quotidiano ipocrita, livoroso ma con giudizio: più che berlusconiano - come vorrebbe il progetto del libro, teso parrebbe a verificare nella cifra domestica l’invasione di un modello di potere e di immaginario oramai ventennale -, semplicemente democristiano.Il giovane narratore Italo Tramontana, un tipo si direbbe non sveglissimo, imbranato con le ragazze (le definisce Sbagliate, e le pagine dedicate alle loro chiacchiere risapute, sono le più corrive), ha una vaga idea di scrivere una tesi (altrettanto vaga) sugli anni berlusconiani, lamenta che i padri non gli abbiano consegnato altra visione del mondo, guarda con sospetto al mestiere del padre vero, percepisce il disprezzo che gli gira intorno in quanto insegnante (l’immagine ha tratti un po’ stereotipi: bisognerebbe capire una volta per tutte che non tutti gli insegnanti sono o si sentono o vengono percepiti così sfigati, malmessi, malvestiti etc). Così non può non distaccarsene, non può non misurare la povertà esistenziale che si scrive nella stessa casa in cui vive (“I frigoriferi non mentono mai”…) una volta che la madre se n’è andata a Berlino. Tutto concorre a far emergere un’immagine tristanzuola di quest’uomo, per giunta definito dal narratore come “berlusconiano” perché individualista e autoritario (sembra un po’ poco…). Il suo patetismo è aggravato dall’immancabile libro nel cassetto da pubblicare, e dalla presenza del solito piccolo, infimo e infame editore che cerca di approfittarne. Per giunta, la carogna che ha forse cercato deliberatamente di investire, l’anno prima aveva lasciato un biglietto nella cassetta della posta di casa nel quale era scritto che il professore s’era portato a letto l’insegnante di sostegno. La cosa peggiore di tutte è che il teppistello finisce per essere attraente per la figlia dell’ex insegnante, sorella del narratore.Fortunatamente, confusamente, questi avrà la possibilità di scoprire altre cose, altri precedenti di segno diverso, e recuperare l’immagine del padre a un minimo di dignità. 
Di Paolo sembra cercare una lingua bianca, di pura comunicazione, in cui anche il dolore rifugge, come un pianoforte suonato con la sordina, qualsiasi acuto; travagli e inquietudini sentimentali sono anch’essi rattenuti in una misura di compostezza, di timidezza sostanziale che forse gli è propria, forse è generazionale ma sembra per contrappasso fornire una spia anche di un’inerzia che, questa sì, dice molto di questi anni. Gli inserti fotografici, le immagini di alcune prime pagine dei giornali e i loro richiami allo sfascio politico dovrebbero costituire tracce di passaggi d’epoca buone a ricostruirla, in vista di una tesi, ma resta l’impressione di uno sforzo buono più che altro a fabbricare un romanzo un po’ blando.

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