dal paradiso
Philippe Djian
Incidenze
Voland
Protagonista di questo romanzo è una carissima carogna, un professore universitario quasi sessantenne, scrittore mancato, che passa da una studentessa all’altra, che le donne le scoperebbe anche da morte, cosa che quasi gli succede con una ragazza che dopo aver passato la notte con lui gli riappare al mattino stecchita chissà come chissà perché: ovvio e primo turbamento a parte, ci fa un pensierino su, Marc, poi lascia perdere e le chiude delicatamente le cosce – più che altro per sbrigarsi a occultare il corpo, della cui morte non ha colpa. Ma la colpa lui se la porta dentro a prescindere perché il vizietto nel suo ambiente non è gradito.
Senti echi di certo cinema francese in questo romanzo di Philippe Djian che pare scorrere attraverso il ripetersi quotidiano di una vita eccentrica ma a suo modo regolare: insegnamento – sesso con una studentessa - ritorno a casa dove il protagonista vive con una sorella di cui con l’andare avanti il lettore intuisce la verità inquietante. Le descrizioni sono secche, essenziali, precise, gli oggetti sembrano letti e ripassati attraverso successivi spostamenti dello sguardo in soggettiva e un’attenzione prensile; il paesaggio si impone non sai se come un’eco impressionista sulle vicende del protagonista o inventariato seguendo la lezione dell’école du regard. A tratti però le descrizioni si protraggono, come le digressioni, e marcano l’abulia del protagonista nella serie di interni ed esterni che rischiano di assediarlo - in certi momenti vorresti che la penna fosse in mano a Martin Amis. Ma come in quel cinema, un momento prima che decidi di averne abbastanza, ecco lo scatto: narrativo e stilistico insieme.
Il tran tran viene stravolto dall’incontro dell’uomo con la madre della ragazza morta: non per chissà quale scompiglio interiore dovuto al caso specifico, ma perché la donna, evidentemente di età di ben superiore a quella delle pischelle che il tipo suole portarsi a letto, dispone di qualità che Marc non aveva mai trovato sino a quel momento.
È solo allora che accetta finalmente l’idea di non avere nessun talento come scrittore, e la rivelazione gli giova, si sente salvo, si accontenta di essere un bravo insegnante, di portare qualche studente “al livello medio della produzione attuale (…)” visto che “le regole sono abbastanza facili, i primi posti non sono forse occupati da pessimi individui, più lesti di una scimmia?”)
Mentre qualche sospetto sulla morte della ragazza comincia a farsi largo intorno a lui, il suo capo – l’accademico imbecille e invidioso che non capisce niente di letteratura e (perciò?) gode di pieni poteri – minaccia di cacciarlo per le imbarazzanti avventure di letto e ne approfitta per corteggiare la sorella (“ci sarebbe voluta una legge contro sorelle di quel genere, sempre incredibilmente in grado di stanare quello con più rogna del circondario, il fidanzato più ignobile nel giro di cento leghe, lo stronzo assoluto destinato a rovinarti la vita per secoli”); ma il ricatto produrrà un esito tragico, scoprendo il lettore che in realtà la convivenza del protagonista con la sorella non si fa mancare i piaceri umbratili e cupi del sesso. Tremendo finale che non sveliamo. Uno scrittore di talento, Djian.
Michele Lupo
Gustoso