Stilo editore, Pag. 130 Euro 10,00
Sull’orco Lupo inutile aggiungere alcunché: parlano i suoi articoli e le sue recensioni. Ma questo continuo confronto ha portato l’autore a specificar(mi) che i racconti di questa antologia, scritti in tempi diversi, mostrano stili diversi.
Probabile – ed il mio personale riscontro conferma la tesi, anche se la distanza tra gli scritti è assai meno evidente di quanto si possa pensare – ma quel che mi preme sottolineare è l’universalità dell’azione letteraria.
Cerco di chiarire: l’autore ‘sfoggia’ spesso la prima persona, ma chi parla è diverso dal narrante, nel senso che Lupo si scinde in innumerevoli personaggi, più volte lontani dal proprio sé (bambino, donna, ragazzo, uomo, sacerdote) per essere comunque mondo.
Molti scrittori ‘utilizzano’ questa tecnica per rappresentare il presente o, come si dice nel sottotitolo, per raccontarstorie di fughe, ritorni e trascurabili vendette. A ben vedere: ma c’è il rischio (rischio che vedo tutto mio, nell’approcciarmi personalmente alla materia) di atomizzare la realtà, di renderla meno identificabile, proprio perché troppo eterogenea.
Ma è il classico pelo nell’uovo (anzi, e ripeto, una mia personale visione della narrativa): ne I fuoriusciti c’è ben altra materia e lingua, finalmente, viva e scarnificante (che bello quel passaggio in ‘Ego te absolvo’ in cui il personaggio principale, un sacerdote, ‘mistifica’ in qualche modo la propria ‘sapienza’ linguistica elargendola a secondi: Perché nonostante i buoni risultati scolastici, nulla lasciava trapelare una seppur vaga inclinazione alla riflessione filosofica, alla pruderie intellettuale (il giorno dell’esame di maturità classica, davanti ad un uditorio stupefatto, udii per la prima volta pronunciare quel termine da un amico, evidentemente più preparato di me).
Il mondo – così parcellizzato – di Lupo è davvero nevrotico, sia se si tratti di Enrico che cerca un affrancamento dai propri fallimenti tentando un ricatto ai danni di una sua ex fiamma (‘Il babysitter’), sia se si tratti di una donna preoccupata dell’attitudine un po’ mignottesca della sorella (‘La sciarpa verde’), sia se si tratti di un disoccupato che alla fine si ritrova a rubare un paio di pantaloni (‘Cimento del tempo libero’) sia se si tratti di Marta che all’improvviso ha rinunciato a vivere (‘Congedo’).
Fuori discussione la bellezza dei due racconti centrali. Si avverte nei ‘Gatti del sud’ la compiutezza narrativa (sarà che forse c’ho visto una evidente impronta autobiografica?), il fluire cospicuo delle sensazioni che soprattutto nella parte finale rasenta la partecipazione emotiva da parte del lettore. E anche in ‘Ego te absolvo’ l’innominabile assunto di un sacerdote diventa certificazione oggettiva di una cristallina sostanza della lingua.
Come si diceva all’inizio: sull’orco Lupo inutile aggiungere alcunché. O nulla di più.
Alfredo Ronci
Gustoso