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AMIRI BARAKA
IL POPOLO DEL BLUES
Questo libro (sottotitolo “Sociologia degli afroamericani attraverso il jazz”) è davvero un classico; se però riprendiamo la nozione calviniana fin troppo nota non so se facciamo un favore al lettore, perché dalla narrativa alla saggistica le cose cambiano: ciò che dà valore alla proposizione di Calvino è il fatto che parlava di letteratura. E la letteratura - il paradosso è solo apparente - si salva, quando si salva, e dura nel tempo (alcuni suoi frutti diventano “classici”) in virtù e per lo più della sua rinuncia a pronunciare delle verità assolute. I personaggi si muovono in situazione, sono contraddittori, ci parlano in modo diverso perché anche noi cambiamo come lettori nel tempo e alle diverse latitudini; le storie, benché si assomiglino tutte, proprio come quelle degli esseri umani, sono ogni volta uniche, irripetibili. Insomma, il regime della letteratura vera e propria è il possibile, l’immaginario, la contraddizione (compresa quelle delle interpretazioni). Per la saggistica tutto questo vale meno (si parla ovviamente alla grossa). Il quoziente di verità di uno studio sulle classi sociali nell’Inghilterra dell’Ottocento, o sulla genesi o la “sociologia degli afroamericani attraverso il jazz” (sottotitolo di questo libro) è curiosamente meno stabile di una poesia d’amore di Catullo. Dunque, né lo spazio né il contesto generale ci impegnano qui a “misurare” la tenuta nel tempo delle convinzioni di Amiri Baraka (nome originario: LeRoi Jones) a proposito de “Il popolo del blues”, unanimemente (a prescindere dalle valutazioni che potrebbero farne al riguardo specialisti di varia provenienza) considerato un fortino degli studi sulla musica afroamericana.
Il libro uscì nell’ormai lontano 1963 e ora lo ripubblica la Shake in una bella edizione ricca di fotografie (ci sono tutti, Muddy Waters, Ida Cox, Ornette Coleman, la Holiday, Armstrong e disegni e foto di aste di schiavi, locali di Harlem etc). Baraka, nato nel 1934, poeta e saggista, movimentista politico, promotore della Black Community Development and Defense Organization, fondatore della casa editrice Totem Press che ebbe un ruolo importante nello sviluppo della Beat Generation, poi convertitosi all’Islam, svolgeva una ricerca densissima che includeva il fatto musicale in una storia molto più complessa. Intesa come storia sociale ovviamente, persino politica.
Questa cifra “politica” è messa in questione ancora oggi, in una prefazione scritta molti anni dopo proprio per i lettori italiani: e chiama in causa precisi orientamenti dell’autore, vicino com’è stato nella sua vita a un originale intreccio di marxismo e ottiche afroamericane. In questa lettura, blues e jazz partecipano di vicende sociali e culturali che li determinano, e se le radici di questa musica sono nere, poi essa si articola attraverso l’indubbio meticciato con il mondo americano. “L'estetica del blues non ha solo valore storico ma anche sociale – scrive Baraka. – E deve riguardare il come e il cosa sia l'esistenza nera e il modo in cui si riflette su se stessa". Estetica che non si arresta ai prodromi della schiavitù, ma s’incrocia e modifica con ciò che incontra via via, rimanendo tuttavia, a suo avviso, una forma peculiare di emozione, un sentimento. Qualcosa che ha da essere studiato non solo nei suoi elementi stilistico-strutturali dunque; e ricordando che “l’estetica blues è solo un aspetto della totalità dell’estetica afroamericana”.
Ora, prima ancora di giungere alla dialettica delle influenze reciproche, v’è un’anima del continente nero da cui origina tutto. Questa “natura” africana per Baraka è espressione di una visione animistica, consiste in un “trasporto, un possesso dell’anima” grazie al quale l’individuo ricompone il se stesso più profondo con il ‘Tutto’”; le stesse poliritmie sarebbero l’ovvia conseguenza di un’apertura di quelle genti verso l’altro. Per tutto questo, ci troveremmo davanti a un linguaggio, una forma dello stile che traducono senza mediazione un sentimento per sua natura “politico”. La libertà espressiva di questa musica, dai suoi albori, non farebbe che rappresentare un anelito alla libertà tout court. Da una parte insomma nell’intellettuale LeRoi Jones scorgiamo le tracce di una persuasa equivalenza ideologia=linguaggio che ha fatto la fortuna di certe poetiche vicine al marxismo, dall’altra le note che abbiamo appuntato precedentemente parrebbero la spia di una rivelazione estatica del nero che si àncora alle proprie radici mitiche. La contraddizione forse è solo negli occhi di chi guarda, i nostri; dagli schiavi “proprietà” dei bianchi colonizzatori alle brass band di New Orleans, dagli spirituals allo swinging, da Bessie Smith al be-bop di Parker, e dall’impatto di musicisti diversi con contesti sociali sempre differenti, quello che è in gioco per Baraka in questa storia è sempre un dissidio, un conflitto fecondo senza il quale non esiste né pensiero né forma ma solo una logica del dominio. Comunque la si pensi, non fosse che per la straordinaria ricchezza dei riferimenti storici, dell’analisi dei moduli ritmico-stilistici a confronto con il mondo bianco specie nei primi anni del ‘900, questo è un libro che non può mancare in una bibliografia essenziale della storia moderna, non soltanto musicale.
EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE
Amiri Baraka (LeRoi Jones) poeta, intellettuale e militante afroamericano, è nato nel 1934 a Newark, New Jersey. Nel 1961 ha pubblicato Preface to a Twenty Volume Suicide Note e successivamente con la sua casa editrice ha fatto conoscere Allen Ginsberg, Jack Kerouac e altri autori della Beat Generation. Vicino ai movimenti neri e al marxismo, ha scritto anche: Four Black Revolutionary Plays (1969), The Autobiography of LeRoi Jones (1984), The Music: Reflections on Jazz and Blues (1987), Somebody Blew Up America (2001).