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Riscoperte: “L’onda sulla pellicola” di Michele Lupo
Dalla Rubrica LaPugliaChePubblica
Scritto da Redazione
L’ambiguo protagonista del romanzo d’esordio di Michele Lupo, L’onda sulla pellicola (Besa Editrice, pp. 386, euro 15), è Livio Viola: inetto per scelta e vocazione, docente per necessità; mentre sogna di scrivere la sceneggiatura di un film post-surrealista, o quantomeno di fare l’attore, la sua vita è un susseguirsi di passioni sfrenate per donne diverse. Forse è il suo modo di sentirsi vivo, «ogni nuova puttanella che incontrava, incontrandolo sembrava dirgli: esisti. Tu esisti»; forse è il tentativo di esorcizzare l’orrore per la famiglia, che i suoi genitori gli hanno dimostrato essere inevitabile campo di tensioni e ipocrisie; forse è il tentativo di sfogare l’umiliazione di insegnare per pochi spiccioli in una scuola privata, dove la massima aspirazione di un docente è quella di non farsi sodomizzare.
Livio vorrebbe protrarre all’infinito la sua adolescenza, ma l’incontro con Giulia è un sommovimento destabilizzante: il suo odore, le linee del suo corpo lo irretiscono come mai gli era capitato prima; che sia davvero amore? Entrambi si abbandonano senza inibizioni all’attrazione reciproca, ma di mezzo c’è Giorgio: alunno di Livio e figlio di Giulia, ormai separata dal marito; lui intuisce nel ragazzo quel talento nella scrittura che probabilmente gli manca, lei non può sedare i sensi di colpa per averlo lasciato in affidamento al (presunto) padre. Gradualmente non potrà dunque che riproporsi l’assioma su cui Livio ha fondato le sue relazioni: «da solo, ognuno di noi riesce a barcamenarsi nella propria debolezza. Ma quando due corpi fragili provano a compattarsi, l’instabile equilibrio che prima regolava le rispettive solitudini rischia di saltare del tutto. Si finisce in una bolla di vetro e lì, ogni minima scheggia è un attacco alla carne dell’altro».
Resta sullo sfondo l’Italietta clericale e della cattiva politica, delle raccomandazioni e dell’irresponsabilità di giovani e adulti, dei prepotenti e dei furbetti che in un modo o nell’altro raggiungono sempre i propri fini, del capitalismo onnivoro; ma a stridere con questa realtà non è tanto la condotta accidiosa e velleitaria di Livio, quanto l’ingenua integrità di chi come Giorgio subisce ignaro queste brutture: le pagine estratte dal suo diario, che interrompono la narrazione in terza persona, sono forse le più intense e delicate, poiché prive di filtri critici.
Se nei racconti raccolti sotto il titolo I fuoriusciti (Stilo Editrice) prevalgono la concentrazione e la sintesi, nell’Onda sulla pellicola invece è la sovrabbondanza a caratterizzare la scrittura di Michele Lupo; pur sempre ironica e grottesca, capace di improvvise epifanie sulla realtà che ci attornia, ma soprattutto di attingere a svariati registri linguistici, senza alcuno stridore nel tracciare uno stile inconfondibile: penetrante e irriverente.
Giovanni Turi