L'ho scritta su Lankelot
Giovanni Orelli, scrittore e
intellettuale svizzero, nato
nel 1928, è autore di diverse
opere in lingua italiana e questo Il sogno di Walacek ripubblicato ora dalle eleganti
edizioni romane 66THAND2ND uscì per Einaudi 1991, nella collana Nuovi Coralli.
Un nome non notissimo al pubblico italiano, una vita trascorsa a Lugano, dove ha insegnato
come professore di liceo. L’esordio letterario
avvenne nel 1965 con il romanzo L’anno della valanga, con prefazione di Vittorio Sereni.
Impegnato in politica nel Partito
socialista autonomo appare come un intellettuale e scrittore non
facilmente inquadrabile – e per fortuna, avendo chi scrive un debole per gli
irregolari purché di talento – in uno schema, una categoria letteraria, fatta
salva l’inclinazione per un genere di racconto centrifugo, indifferente, almeno
in questo libro, alla classica triade stile-trama-personaggi in cui secondo i
più si delineano in caratteri di un buon romanzo.
Non è uno scrittore per tutti, ma se al romanzo viceversa
concediamo il benefit di una potenzialità ulteriore, di una forma aperta in cui
il racconto può includere non tanto la digressione – che è ovvia – ma un
principio di imprevedibilità buono a farne una scrittura da sperimentare in
diverse direzioni, ecco che questo libro può trovare lettori inattesi. Purché
curiosi, meglio colti, direi, pazienti: perché soprattutto all’inizio ci si
muove con un po’ di fatica. L’affabulazione, attentissima sul piano stilistico,
appare protesa a divagare, poco disposta a disciplinarsi in una trama, più
speculativa che propriamente narrativa.
La storia, ammesso che sia possibile parlare di storia,
volteggia e plana per poi risalire fino a un punto di vertigine intorno a un
lavoro di Paul Klee, che il 19 aprile 1938 decide
di dipingere servendosi di una pagina di giornale, precisamente la pagina 13
del «National Zeitung» di Basilea. Ivi si racconta la finale di Coppa di
Svizzera tra il Grasshopper e il Servette del giorno precedente. Nel disegno
del grande artista, uno dei massimi del secolo scorso, uno di quelli che i nazisti riterranno responsabili
della famigerata arte degenerata da additare all’Europa con il massimo di
severo disprezzo, compare una grande O che adombra il nome di Walacek,
prestigioso giocatore del Servette che pochi mesi più tardi ai mondiali di
Francia sarà artefice della vittoria degli elvetici sulla Germania. Su questo
fatto (ricordiamo che nella collana Attese dell’editore lo sport è il punto di partenza), sul senso
che potrebbe nascondere, il
narratore apre e conduce le danze
di un esercizio ermeneutico nel quale si confrontano personaggi
inventati del tutto e figure storiche come Bertrand Russell o Arthur
Schopenhauer. In un’osteria fantasmatica, essi discutono con agile e sfuggente
libertà di argomenti disparati: il calcio, il nazismo, la psicoanalisi, l’arte.
Aggiungono aneddoti saltando da un fatto all’altro seguendo le linee di una
geometria mobile, non sempre agevole, nel quale l’acutezza degli
interpreti regna sovrana, il dettato a tratti si scioglie felicemente per poi
arcuarsi rapsodico e sconnesso. Come un padrone di casa raffinato e gentile che
però non rinuncia minimamente ai suoi tratti originali per venirti incontro.
Garbato ed eccentrico. Il testo si costruisce come un tessuto inesauribile di
variazioni, a volte prolisse, estenuanti, la congettura sul caso Klee devìa da
una tratta all’altra senza avvertirti, apre parentesi ed erra fra i casi
dell’epoca sostando a piacimento un po’ qua un po’ là. Direi che Pindaro, più
volte citato nel testo, non sembra un nome casuale.
Nel saggio aggiunto al testo, Il volo
leggero dell’angelo di Rossana Dedola, viene chiamato in causa il genere musicale
dello “scherzo”, apparentemente
leggero, divagante, ma non per questo frivolo: la libera associazione
che permette al narratore uno “schema” di lavoro non estraneo all’epoca ivi
raccontata, il “collage” – seppure non più all’ordine del giorno – è tesa a
recuperare un senso alla storia di Klee e della mezzala Walacek, il cui nome
viene mutilato dal tratto del pittore: in entrambi, per vie imprevedibili, è
forse possibile recuperare una traccia della storia europea. Sembra un divertissment
per
lettori “forti”, ma è qualcosa di più.