STILO Editrice
Il romanzo di Sefedin Fetiu, Il tempo del risveglio (Stilo, pp. 126, euro 10) è un buon libro per tornare a pensare il valore insieme della scuola, dei libri e quello dell’esempio etico che è a carico di ogni insegnante che non voglia mettere a repentaglio il suo magistero con un comportamento contraddittorio rispetto ai nobili principi che enuncia.
Il narratore Skender Dukagjini, figura autobiografica dello scrittore kossovaro Sefedin Fetiu, ricostruisce il clima terribile che dovette soffrire l’etnia albanese sotto la dittatura di Tito in quella che per alcuni decenni si chiamò Jugoslavia. Recupera con un tono volta a volta elegiaco o drammatico gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza costretti sotto il giogo cupo e duro del regime per nulla intenzionato ad ascoltare le rivendicazioni autonomiste del Kossovo.
La centralità assunta in questo libro – al netto degli specifici contenuti storici e geopolitici – dalla letteratura e dal suo insegnamento in relazione agli esempi di vita concreti di coloro che ne proclamano l’esemplarità valoriale, in un contesto certo edificante ma non privo di stimoli, dà al romanzo il carattere di una storia di formazione: che è storia di resistenza, in cui azione e cultura cercano un punto d’intersezione che dia senso a entrambe.
Gli insegnanti che di fronte al fanciullo Skender si pregiano di figurare come maestri, nel momento in cui indicano nella letteratura un modello di libertà, di immaginazione, sono costretti alla prova ben più dura della testimonianza fattuale, dell’azione: dando l’esempio di una risposta concreta alla tirannide, assumendo in prima persona l’onere dell’opposizione. Non tutti ce la fanno: l’idealismo si paga, ma tanto più la libertà dei libri per la quale gli insegnanti liceali e gli amici di Skender si entusiasmano, trova un senso nella scelta coraggiosa di combattere effettivamente per essa.
Il tempo del risveglio si fa leggere anche per una certa premura descrittiva che rende bene il mondo non privo di tratti patriarcali di quelle terre, comprese le feroci e improvvise esplosioni di violenza che a partire da un immaginario forse superficiale ci attendiamo quando si tratta di Balcani (sarà per quello che sfuggiamo a quella parte di mondo, a due ore di scafo da noi, per un inconfessato senso di superiorità per quei disgraziati persi nei loro atavici conflitti? per l’orrore che gli italiani provano ormai per la povertà? è una rimozione fastidiata per le sorti di cristi più poveri di noi?).
Eppure, i lettori italiani, gli insegnanti in particolare, potrebbero trovare qui non solo i tratti in corpore vili di cosa voglia dire una scuola che insegna in un contesto difficilissimo, ma anche un’esercitazione contingente, l’omologo di una questione che di questi tempi dovrebbe essere centralissima e la politica e i media si guardano bene invece dal marcare: il Risorgimento. Leggere per credere.