27 dic 2010

LPELS Giacomo Sartori





Sono 16 racconti questi raccolti in Autismi; qualcuno fra i lettori potrebbe già conoscerli poiché sono stati “postati” su Nazione Indiana (Giacomo Sartori fa parte della redazione in pianta stabile) lungo un intero anno.
Il libro è un trattatello di vita domestica feroce, vero e divertentissimo. Sartori vi dispiega uno humor delizioso che unisce per ossimoro acribia e svagatezza. Una scrittura tutta materica, giocata su un registro “basso ma non ammiccante né manieristico, nonostante gli argomenti scatologici dispiegati con pronuncia serissima. La cacca non sta lì a far da civetta al riso facile di lettori rabelesiani (ammesso che ancora ne esistano), ma costituisce un tema da affrontare con il piglio deciso delle questioni definitive. Il problema del narratore infatti sta nella riuscita di “una cacca di qualità omogenea, puntuale e affidabile, e di odore sopportabile, se non proprio profumata”. Egli si dice giustamente scandalizzato dal constatare come “bellissime donne che brigavano tanto per il loro fascino sfornassero impunemente cacchette maleodoranti (…) tanti poeti smentissero l’evanescente illibatezza dei loro versi con pedisseque feci”. Trova abbastanza intollerabile che l’umanità dopo millenni non abbia trovato una soluzione alla pessima qualità della merda – sull’argomento siamo rimasti allo stesso punto del primate di Kubrick. Sicché affronta la faccenda con tenacia e puntiglio “scientifici”; sebbene la moglie e gli amici temano che sia un po’ andato di testa – la moglie persino che le sue siano manovre astruse per mandare a monte il matrimonio – l’uomo si applica, tiene “al guinzaglio enzimi, quantità e qualità dei succhi gastrici, bile, equilibrio degli ormoni”; ma niente, deve convenire che la sua “è una cacca impresentabile”.
Assistiamo in questa e altre storie insomma a un rovesciamento dell’epica, ossia a un dettato eroicomico: benché applicato a casi di ordinaria vita quotidiana, lo scetticismo è pugnace quanto la volontà. S’indovina una lotta sotterranea con la tentazione sempre dietro l’angolo del nichilismo. La stessa caparbia ostinazione è all’opera nella descrizione dei rapporti parentali: nell’analisi e rivelazione delle falle innumerevoli che li squarciano da tutte le parti si procede spietati e perplessi; si ha la sensazione che il narratore non si fermi davanti a niente. E’ l’abitudine a non lasciare nulla d’intentato che gli viene forse dal suo mestiere – l’autore empirico, come il narratore protagonista, fa l’agronomo. Il che aiuta a definire non solo un modo di procedere, un asintotico anelito all’esattezza, ma pure un codice lessicale, un’adesione incondizionata a una realtà materiale solo tenendo sempre presente la quale, attraversandola ed esaurendola in ogni dettaglio, si può forse aspirare a qualcos’altro – in un libro a mio parere stupendo, le pochissime cadute stilistiche si verificano proprio quando ci si allontana troppo dalla grana corporea delle cose e ci si lascia carezzare da tentazioni diverse: lì si rischiano soluzioni posticce come “il vissuto telefonico” (ma si tratta di rari casi e lo sottolineo affettuosamente all’autore di questo libro che è fra i migliori dell’annata).
Per quanto tagliente e nero, l’umorismo di Sartori è ottenuto quasi “senza parere”; il narratore sembra intenzionato solo a ricostruire i fatti, dominato dalla “sete di capire” e da “una fanatica ostinazione”. Scava e misura, da buon agronomo; gli capita pure di finire accanto ai cimiteri e per quanto voglia fuggirli sente una specie di aria famigliare – sinistra, va da sé. Non è che in famiglia le cose vadano molto meglio, infatti. Il rapporto con la moglie si limita agli incontri settimanali con la psicoterapeuta che dovrebbe risolvere i problemi di coppia. Ma i due si accapigliano già per decidere come andarci, con quale mezzo di trasporto, così ognuno ci va per conto suo. E non concordano nemmeno su ciò che debbono fare una volta lì (eccellente la capacità di Sartori di far parlare i personaggi attraverso i loro sguardi, prima e oltre le schermaglie dialettiche). Il risultato è che litigano proprio perché vanno in terapia. Solo questo racconto vale migliaia di pagine stampate dalle majorsnell’anno morente 2010.
I libri dell’editore Sottovoce sono di una sobria, asciutta e quasi severa eleganza e quel che più conta tentano di inserirsi attraverso la qualità dei testi in un mercato sempre più dominato dai brand fasulli che purtroppo occupano le librerie con insopportabile prepotenza. I librai fanno il loro mestiere, ma per invertire la tendenza avremmo bisogno di negozianti che i libri li amassero almeno un po’, che invece di assecondare i distributori dedicassero un’ora del loro tempo quotidiano a sbirciare le pagine di libri come questo e li affiancassero alle pile dei carifigli di papà mercato.

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