Tornare a fare il punto sulla Commedia di Dante. Questo il senso di un nuovo libro sull’opera per eccellenza della nostra letteratura. Lo ha scritto Alberto Casadei, studioso cinquantenne dell’Università di Pisa. Il titolo è Dante oltre la Commedia, edito da il Mulino. Sia per meglio leggere il poema, sia per questioni che vanno “oltre la commedia” – giusto il titolo – Casadei rivede difatti con precisione scrupolosa anche L’Epistola a Cangrande, l’Epistola di Ilaro e la Monarchia.
Ridiscute la serie di interpretazioni di lunga e nota consuetudine, specie nell’ambito novecentesco, si tratti di Auerbach o Singleton o Contini o Eliot. Cercando di aggiustare il tiro, tenendo a vista l’imprescindibile filologia (lingua e storia) per farne la base di una più sicura lettura: sollecita nel distinguere i dati indiscutibili dalla concrezione di commenti depositati in una storia troppo lunga per non essere anche pigramente abitudinaria.
A partire dalla parziale rivisitazione della centralità del “comico”. Nozione certo non eludibile, ma ad avviso dell’autore impossibilitata a esaurire e comprendere la tonalità “sacra” del poema; ostacolo che impedisce di intendere la dimensione divina dell’ispirazione dantesca (vale soprattutto per il Paradiso, ovviamente). Per capirsi, Casadei ricorda come Dante richiami per la scrittura della sua opera il segno di un “dono” dello Spirito Santo: come di una rivelazione che pretende il sigillo della verità. In questo modo, ci si allontana dalla vulgata espressionista (che presa alla lettera non darebbe ragione della tendenza all’ordine cui mira l’opera nel suo processo ascensionale). Tutto questo, anche senza mettere in secondo piano la strumentazione “realistica” in dote al poeta fiorentino. Intesa come cognizione lucida dei materiali conoscitivi a disposizione dell’autore – meglio, della sua epoca. Dei quali Dante si serve per configurare l’immensa scena oltremondana con quella precisione figurativa e dovizia di dettagli che gli accaniti esegeti dell’opera (ma anche i buoni lettori liceali di un tempo) ben conoscono.
La Comedìa va intesa dunque come opposizione alla tragedia di cui è espressione agli occhi di Dante, l’Eneide virgiliana, mondata degli aspetti più bassi intrinseci al dettato dell’Inferno. Che non conclude e dà fondo al poema – questo rimprovera Casadei ad alcuni esegeti: si tratta pur sempre del “poema sacro”, che, a differenza dell’opera di Virgilio,non può fare a meno nella prima cantica di “rappresentare ogni tipo di infamia e malvagità”. “La genialità dell’operazione dantesca – scrive Casadei – sta fra le altre cose nell’aver accettato in profondità i fondamenti del sapere archeologico medievale (…) e nello stesso tempo di aver dato spazio a ogni tipo di possibile verifica di questi presupposti, a livello di osservazione dei dati naturalistici e di quelli antropologici”.
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