Narratore vigoroso, Russell Banks, del quale arriva in Italia a quasi trent’anni dall’uscita negli Stati Uniti, La deriva dei continenti (Einaudi). L’America che racconta (fine anni Settanta) assomiglia molto non diremmo a quella attuale ma a una deriva di tutto l’Occidente nel quale al principio che tutto è merce non fanno eccezione nemmeno gli uomini.
E non tanto perché nella collisione di mondi (di continenti), succede, come qui, che americani senza scrupoli si arricchiscano con la disperazione di neri haitiani che fuggono dalla miseria, ma perché lo sfruttamento cinico puoi sentirlo addosso fra le pareti di famiglia – negli occhi di tuo fratello, per esempio. Così che un “brav’uomo” come il protagonista Bob Dubois, dopo aver a lungo resistito al demone interiore che gli insinuava il sospetto che la sua vita di riparatore di bruciatori di nafta nel New Hampshire e di marito e padre responsabile ma non privo di pecche e afflizioni, non fosse una gran vita, finisce per cedere e decide di cercare fortuna in Florida.
Una Florida che ha molto poco dell’immagine seduttiva che è ancora nella testa dei più. Lì difatti Bob dovrà misurarsi con una ferocia cui sarà difficilissimo far fronte. Vale per lui e vale per i disperati in arrivo da Haiti (la narrazione scorre doppia fra la vita di Bob e quella di una piccola famiglia di migranti) fino allo scontro, giusto il titolo, drammatico, fra disgraziati di mondi diversi, i poveri americani alla Dubois e i “clandestini” – che sono da decenni il rimossodelle nostre democrazie ormai vuote di significato (forse per questo risvolto sociale il romanzo era piaciuto persino alla terribile Michiko Kakutani, l’arcigna crtichessa del New York Times, riottosa agli entusiasmi).
Un grande personaggio, Dubois, onesto ma nella “sua rude stazza di maschio” abbastanza ambiguo e irrazionale nei comportamenti da essere umanamente – e perciò letterariamente - credibile. Di lui il narratore mostra azioni e riflessioni, in un continuo e onnisciente rimbalzo fra il dentro e il fuori – a volte, bisogna dire con il rischio di ingolfare. Banks è un massimalista che non tiene a bada la voracità affabulatoria che tende a fargli dire tutto – troppo. Spesso abbandona il racconto di una situazione ben precisa per fornire informazioni al lettore con digressioni che avrebbe potuto inserire con più agio altrove. E il tempo della storia e della lettura non coincidono (che in questi casi è un po’ la prova del nove).
Detto questo, la capacità di dare corpo e plastica evidenza agli ambienti, di costruire personaggi veri, è fuori discussione. Nonostante l’amore, gli inganni, il desiderio che circolano in abbondanza nel libro tra famiglie, mogli e amanti, la crudezza brutale di queste vite lascia nel lettore un’impressione forte, tale da dar ragione al narratore, che in nome di questa pietas, e attraverso il “sabotaggio e la sovversione” che ne possono derivare, spera che il romanzo se ne vada a “distruggere il mondo così com’è”.
pubblicata sul recensore.com