9 ott 2012


Jim Shepard

Non c'è ritorno

66thand2nd 
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Qualcuno si ricorda di Johan Cruyff? Che cosa premeva davvero al campione dell'Ajax durante una partita? Sentite qua: "Sarebbe stato felice di giocare in un campo lungo due chilometri, senza porte, nient'altro che stupende onde di movimenti che facevano avanti e indietro".
A dircelo, a raccontarcelo è Jim Shepard, eccellente narratore americano, del quale era stato prima tradotto da noi solo un romanzo, Project X, da Meridiano Zero, e viene ora presentato nella solita elegante veste editoriale di 66than2nd in una raccolta costruita per l'occasione selezionando racconti di ambientazione "sportiva". Titolo Non c'è ritorno (cura di Tim Small, revisione di Michele Martino. prefazione Eraldo Affinati).
A parlare nel racconto 'L'Ajax non difende mai' è Velibor Vasovic, difensore del campionato jugoslavo, che ebbe la fortuna di essere acquistato dalla formidabile squadra olandese negli anni che rivoluzionarono la storia del calcio. Il verbo non solo non è esagerato, ma risuona di significati extrasportivi se è vero che lo stesso Cruyff in quegli anni vagheggiava un cambiamento che riguardasse anche la politica – o almeno, i costumi - e se la voce narrante è costretta a misurare le differenze abissali che intercorrono fra quel mondo e la Belgrado degli anni Sessanta.
Shepard mostra al lettore italiano – in questo di certo non abituato dalla letteratura nostrana – come la scrittura possa trovare nello sport un luogo per storie interessanti, un ambito in cui naturalmente agisce quella dimensione conflittuale senza la quale la narrativa non ha grandi spazi di manovra. Ciò che riesce allo scrittore del Connecticut, nato nel 1956, giustamente considerato un rappresentante di prim'ordine nel genere della short story, è il passaggio fluido e stringente al tempo stesso dall'agone sportivo ai casi privati non solo di professionisi ma di gente qualunque che ha da vedersela coi malesseri del quotidiano – un cattivo clima famigliare, per esempio. Perché se la famiglia con le sue pastoie, i suoi cupi pantani, non smette di stare al centro degli interessi della grande letteratura americana, Shepard non fa eccezione.
Entra nelle situazioni con molta agilità, con poche frasi fa percepire al lettore voce e corpo dei personaggi, l'aria ostile che spesso aleggia nelle loro case. Il tutto con una scrittura piana, che fa della semplicità un evidente punto d'arrivo di un accurato lavoro teso più sulle cose – i personaggi innanzitutto – che sull'oltranza dello stile. Una prosa si temperata asciuttezza, uno sguardo rispettoso dei personaggi, benché spesso siano poveri cristi, dalle vite problematiche, spesso tentati da soluzioni drastiche anche in condizioni psicologiche difficili, forse perché lo sport aiuta a costruirsi se non un'etica, un'abitudine alla sconfitta. Qualcosa come un addestramento. Di sicuro favorisce la conoscenza dei propri limiti. E un certo grado di consapevolezza diffusa costituisce un po' una cifra comune di queste storie, le voci dei protagonisti si fanno carico delle loro sconfitte, delle delusioni, che vanno ben oltre lo sport. V'è poi il tifo esasperato, una malattia, una via di fuga dalla realtà, - lo sa e lo riconosce lo stesso Shepard. E prima di lui lo sapevano gli antichi, lo sapeva bene il potere romano. E il nostro, qui e altrove – e anche per questo in Non c'è ritorno conoscerete gente che già conoscevate, ma raramente raccontata così bene.

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