8 dic 2011

Operazione Massacro

Rodolfo  Walsh  


Dopo la traduzione Sellerio del 2002, esce nella medesima versione di Elena Rolla ma presso i tipi de lanuovafrontiera (benemerita casa specializzata in letteratura sudamericana) un classico del giornalismo investigativo e in un certo senso, da chiarire,  “letterario”. Operazione massacro dell’argentino Rodolfo Walsh, a suo tempo (successivo agli eventi raccontati nel piccolo libro) guerrigliero della sinistra peronista, ebbe l’idea, nemmeno tanto determinata all’inizio, poi sempre più imposta alla sua coscienza dall’intuizione dei fatti, di guardare a fondo in una storiaccia del 1956: a margine, si fa per dire, della presa di potere da parte dei militari, e contemporaneamente al fallito tentativo dei peronisti di ribaltare la situazione con un putsch, un gruppo di civili fu massacrato dalla polizia alla periferia di Buenos Aires.  

Uno degli uomini scampati a quel terribile 9 giugno gli racconta quello che ha visto. L’allora un po’ vago scrittore di storie fantastiche e soprattutto poliziesche trova modo di ricostruire la storia e pubblicarla di straforo sul foglio sindacale Revolucion Nacional, prima  di farne un libro nel 1957. Il “letterario” evocato prima va inteso come apporto a un genere che coniuga cronaca e finzione: un anticipo di quel new journalism del quale tutti ricordano il capitale A sangue freddo di Truman Capote.

Ecco, Operazione massacro rivela agli argentini la violenza inaudita di un crimine nascosto (sui giornali dell’epoca non v’è alcuna traccia di quella notte), restituisce nobiltà al mestiere del giornalista – anche se qui non si tratta più di mero giornalismo, vale da esempio purtroppo seguito da pochi eroi (e non dovremmo avere bisogno di eroi no?) e, last but not least, dispiega un modello di scrittura pregevole. Nelle prime pagine è evidente lo schema strutturale che ri-costruisce gli eventi, avvicinando uno a uno le vittime, riesumandone alcuni tratti decisivi della personalità, intrecciandone i destini fatali poco a poco, infine stringendo il racconto verso il suo esito drammatico.

La scrittura di un capitolo nero della purtroppo cupa storia argentina (politicamente parlando) fa del libretto di Walsh un classico della “non-fiction”, come potremmo anche definire il genere – ce lo ricorda Alessandro Leogrande, autore dell’introduzione, a sua volta un rappresentante del modello in questione. Che trova giustamente lo specifico di Operazione Massacro nell’intuizione di Walsh – quella che lo spingerà alla rischiosa intrapresa - che polizia periferica e potere militare centrale erano parti di uno stesso sistema criminale.

Per questo, il crimine va letto con un approccio narrativo che superi le secchie della mera cronaca per diventare conoscenza più profonda degli umori e delle dinamiche di potere di un paese. L’altro paradigma duale, rovesciato, riguarda lo stesso Walsh, che cerca per tutta la vita di tenere insieme etica e scrittura. Non solo sarà lui a scoprire la preparazione americana dell’attacco alla Baia dei Porci – per dire il suo talento di giornalista d’inchiesta -  ma negli anni a seguire farà parte dei Montoneros, partecipando attivamente alla lotta democratica del suo paese contro i militari. Nel marzo del 1977, infine, scrive una celebre lettera aperta alla Giunta militare (come tutti sanno, siamo nella fase peggiore di una dittatura ferocissima), che accusa di detenere un potere illegittimo e sanguinario, di aver ucciso e torturato migliaia di persone. Che non fa attendere la propria reazione. Il giorno dopo, lo prendono, Walsh. In un certo senso è fortunato, se consideriamo che l’ordine era di torturarlo per qualche anno prima di farlo crepare. Il giornalista e scrittore reagisce all’imboscata sparando. Ferisce un soldato. Sono “costretti” a sparargli.

Muore a cinquant’anni.


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