Rodolfo Walsh
Dopo la traduzione Sellerio del 2002,
esce nella medesima versione di Elena Rolla ma presso i tipi de
lanuovafrontiera (benemerita casa specializzata in letteratura
sudamericana) un classico del giornalismo investigativo e in un certo
senso, da chiarire, “letterario”. Operazione massacro dell’argentino
Rodolfo Walsh, a suo tempo (successivo agli eventi raccontati nel
piccolo libro) guerrigliero della sinistra peronista, ebbe l’idea,
nemmeno tanto determinata all’inizio, poi sempre più imposta alla sua
coscienza dall’intuizione dei fatti, di guardare a fondo in una
storiaccia del 1956: a margine, si fa per dire, della presa di potere da
parte dei militari, e contemporaneamente al fallito tentativo dei
peronisti di ribaltare la situazione con un putsch, un gruppo di civili fu massacrato dalla polizia alla periferia di Buenos Aires.
Uno
degli uomini scampati a quel terribile 9 giugno gli racconta quello che
ha visto. L’allora un po’ vago scrittore di storie fantastiche e
soprattutto poliziesche trova modo di ricostruire la storia e
pubblicarla di straforo sul foglio sindacale Revolucion Nacional,
prima di farne un libro nel 1957. Il “letterario” evocato prima va
inteso come apporto a un genere che coniuga cronaca e finzione: un
anticipo di quel new journalism del quale tutti ricordano il capitale A sangue freddo di Truman Capote.
Ecco, Operazione massacro
rivela agli argentini la violenza inaudita di un crimine nascosto (sui
giornali dell’epoca non v’è alcuna traccia di quella notte), restituisce
nobiltà al mestiere del giornalista – anche se qui non si tratta più di
mero giornalismo, vale da esempio purtroppo seguito da pochi eroi (e
non dovremmo avere bisogno di eroi no?) e, last but not least,
dispiega un modello di scrittura pregevole. Nelle prime pagine è
evidente lo schema strutturale che ri-costruisce gli eventi, avvicinando
uno a uno le vittime, riesumandone alcuni tratti decisivi della
personalità, intrecciandone i destini fatali poco a poco, infine
stringendo il racconto verso il suo esito drammatico.
La
scrittura di un capitolo nero della purtroppo cupa storia argentina
(politicamente parlando) fa del libretto di Walsh un classico della
“non-fiction”, come potremmo anche definire il genere – ce lo ricorda
Alessandro Leogrande, autore dell’introduzione, a sua volta un
rappresentante del modello in questione. Che trova giustamente lo
specifico di Operazione Massacro
nell’intuizione di Walsh – quella che lo spingerà alla rischiosa
intrapresa - che polizia periferica e potere militare centrale erano
parti di uno stesso sistema criminale.
Per
questo, il crimine va letto con un approccio narrativo che superi le
secchie della mera cronaca per diventare conoscenza più profonda degli
umori e delle dinamiche di potere di un paese. L’altro paradigma duale,
rovesciato, riguarda lo stesso Walsh, che cerca per tutta la vita di
tenere insieme etica e scrittura. Non solo sarà lui a scoprire la
preparazione americana dell’attacco alla Baia dei Porci – per dire il
suo talento di giornalista d’inchiesta - ma negli anni a seguire farà
parte dei Montoneros, partecipando attivamente alla lotta democratica
del suo paese contro i militari. Nel marzo del 1977, infine, scrive una
celebre lettera aperta alla Giunta militare (come tutti sanno, siamo
nella fase peggiore di una dittatura ferocissima), che accusa di
detenere un potere illegittimo e sanguinario, di aver ucciso e torturato
migliaia di persone. Che non fa attendere la propria reazione. Il
giorno dopo, lo prendono, Walsh. In un certo senso è fortunato, se
consideriamo che l’ordine era di torturarlo per qualche anno prima di
farlo crepare. Il giornalista e scrittore reagisce all’imboscata
sparando. Ferisce un soldato. Sono “costretti” a sparargli.
Muore a cinquant’anni.