Il ballo al Kremlino è l’opera incompiuta che avrebbe dovuto concludere con La pelle e Kaputt la trilogia di Curzio Malaparte. Materiale per un romanzo, aggiunge onestamente l’editore. Perché il lavoro è stato ricostruito con acribia filologica ma - al netto di una considerazione generale: Malaparte non è scrittore di trame e intrecci, nemmeno nei libri “finiti” – il volume mostra ancora i segni materiali della costruzione grezza: descrizioni fisiche o psicologiche non del tutto equilibrate rispetto alle scene, caratteri non ancora risolti in situazione (non sempre) – frasi e descrizioni ripetute etc. Nel volume adelphiano la ricostruzione dai vari dattiloscritti è a cura di Raffaella Rodondi, la quale in nota ne ricompila l’iter a partire dal nucleo primitivo, un capitolo “russo” all’interno de La Peste/La Pelle, poi cresciuto per conto suo.
Malaparte intendeva sviluppare un racconto della vita aristocratica in quel di Mosca alla fine degli anni Venti, ossia del potere comunista che viveva in modo poco comunista, certo diversamente da come il narratore – distanza dall’autore empirico diremmo nulla – si aspettava arrivando in Russia (e un po’ tutta l’Europa che – diversamente da lui - agognava una rivoluzione del proletariato e guardava alla Russia come a un orizzonte mitico).
Detto che il comunismo per Malaparte non rappresenterà tanto il polo ideologico opposto al proprio, come ancora tendono a pensare coloro che poco lo conoscono (rimandiamo alla biografia di Maurizio Serra recensita su queste pagine), si legge con gusto lo sbeffeggio dell’élite moscovita (laddove anni prima Malaparte aveva elogiato Lenin): comunista sì, ma invaghita come chiunque di Parigi, Londra, balli di corte, buone maniere, bei vestiti. E dolcezze più o meno morbose, estetizzanti e scandalistiche che avrebbero attratto Emma Bovary.
D’altronde, la tendenza al paradosso e allo spirito di contraddizione di un esteta in questo senso piuttosto tipico non solo favoriva giravolte clamorose, ma sembra adattissima a cogliere l’incoerenza altrui. Al fondo di quella rassegna di personaggi colti essenzialmente nei dettagli di una posa, di una conversazione (dalla ballerina Marina Semenova, “capricciosa e tirannica”, segretamente vagheggiata da Stalin e meno nascostamente desiderata da Karachan, “l’uomo più bello di Mosca e forse d’Europa”, a Florinskij, funzionario di primo piano, vanesio incipriato come il povero cristo chapliniano alla catena di montaggio mai avrebbe potuto immaginare) Malaparte, pur con il controllo freddo della materia che gli è proprio, trova un gran gusto nel fare le pulci alla “nobiltà marxista”, ai dirigenti offesi dal suo apprezzamento per Majakovski. E dall’irriverenza di un personaggio immerso direttamente nella scena, caustico nel sottolineare che in fondo quella che gli sta davanti è una costellazione sbiadita, di quelle che brillano di una luce insidiosa: da corrotti “parvenus”
qui invece una nota sulla recente biografia di Maurizio Serra http://www.ilrecensore.com/wp2/2012/11/vita-e-leggende-di-malaparte-a-cura-di-maurizio-serra/
qui invece una nota sulla recente biografia di Maurizio Serra http://www.ilrecensore.com/wp2/2012/11/vita-e-leggende-di-malaparte-a-cura-di-maurizio-serra/