GUSTAV MAHLER, RICHARD STRAUSS
UN CARTEGGIO
Due
musicisti molto diversi, Gustav Mahler, Richard Strass, un’amicizia non
semplice in un momento storico complicatissimo, l’equilibrio di un carteggio
che tiene per diversi anni e una storiografia che ci ha abituato a vedere
nei due i poli opposti di un certo progressismo culturale e linguistico da una parte
e di una totale indifferenza a un’idea lineare della storia (indifferenza
politica tradotta in una carriera artistica atipica) dall’altra.
Poi i paradigmi sono mutati. E si è giunti a una
nuova “maniera” interpretativa che a forza di scompaginare le carte lascia i
semplici lettori - ascoltatori disorientati. Tanto che se non lo avessimo seguito
negli anni e non ne sapessimo la coraggiosa ma robusta spregiudicatezza di
studioso (il suo amore per l’Operetta in tempi non facilissimi per generi così
“disimpegnati”), sarebbe forte la tentazione di vedere per esempio nella
rivalutazione di alcuni musicisti a opera dello storico e critico musicale
Mario Bortolotto un segno del suo capriccioso e accanito desiderio di marcare
un territorio un po’ stucchevole, quello del bastian contrario che fa della
leggerezza inaudita un principio
di valore così martellante da diventare pesante (e ometto, perché non sarebbe
questa la sede, di rilevare certe imbarazzanti prese di posizione politiche).
La critica ai francofortesi (espressione un po’ ridondante quando tutti per
anni hanno pensato un nome solo, quello di Adorno) ora appare un po’ stanca e
risaputa a forza di “rivalutare” qualsiasi marginale intrattenitore come un
genio misconosciuto solo perché l’ideologia dall’engagement ha forzato la cultura europea,
compresa quella musicale, per molti decenni.
Nel caso di Richard Strauss la caratura è
ovviamente diversa ma se abbiamo accennato a Bortolotto è perché si deve a lui
un libro di qualche anno fa che lo inserisce a pieno titolo nel novero dei
grandissimi. E ribalta il vecchio giudizio adorniano sull’autore dell’Elektra come un fanatico della Germania
guglielmina, un uomo e un artista a suo agio nel proprio cattivissimo tempo, al
contrario di Mahler, cui una certa consolidata storiografia attribuiva il merito di aver tracciato le linee di
un linguaggio musicale che avrebbe poi portato alle avanguardie.
Insomma, sullo stesso versante musicale (l’unico
che conti) il conflitto fra i due musicisti non va più visto in una dialettica
conservazione-progressismo, non solo o tanto perché lo schema degli opposti
non convince più gli storici ma perché in Strauss l’invenzione musicale appare
più ricca e proteiforme di quanto non volesse la stessa vecchia vulgata.
Certo, l’artificio in lui la fa da padrone. Mi pare
concorde il giudizio di Nicola Montenz, studioso e narratore che introduce il
piccolo libro Archinto, l’epistolario fra Strauss e Mahler. Il
discrimine significativo per Montenz sta nella questione, ineludibile, della
morte: ombra quotidiana, assillante, e cifra “romantica” sottesa all’opera in Mahler,
insorgenza ambigua e paradossalmente vitalissima in Strass, teatralmente
proteso a farne una danza orgiastica in un tentativo virulento di congiungerla
all’eros dionisiaco.
Mondi comunque lontani, di sicuro più tormentato
quello mahleriano, più tronfio e spettacolare quello di Strauss, più rigoroso
anche per i contesti a margine della musica il primo, più egotico e roboante il
secondo, sensibilissimo alle ragioni del portafoglio: se questo è pacifico, più
interessante diventa guardare dentro l’effettiva comunicazione fra i due. Il
carteggio coinvolge aspetti musicali diversi, dalle considerazioni su questo o
quel musicista, questo o quel cantante, questo o quel lavoro da mandare in
scena. I due sono attenti e consapevoli delle loro differenze, rispettosi,
schietti nei giudizi ma di solito misurati; riservano appellativi più coloriti
agli altri e non smettono di manifestarsi stima reciproca. Di Mahler si dice
che in realtà non sapesse bene come intenderlo, Strauss. Molte testimonianze
non sembrano garantire una stima incondizionata. Nel complesso, il mondo di
Strauss gli era estraneo, ma era un uomo che onestamente riconosceva il genio
musicale se e quando lo incontrava. Il che significa anche che gli perdonava la
prosa facilmente incline a concludersi in un punto esclamativo. A perdonargli
di essere Strass, insomma, uno che non poteva racchiudere in un giudizio
definitivo, pacifico. Mahler non era fatto per la pace, quella interiore
s’intende. L’altro, semplicemente, si faceva meno problemi. Amen.