Con Verso la Certosa prosegue la pubblicazione adelphiana dell’opus di Carlo Emilio Gadda. Scrittura saggistica nello specifico e persino d’occasione, vuol dirsi minore senza tentennamenti, per lettori appassionati e adusi e curiosi del genio lombardo. Che possono scoprire cosa vuol dire un vero risotto alla milanese, e in quanto lettori benintenzionati – come capita con i grandi che si amano – crederci sulla parola.
Del resto, oggi v’è chi con le ricette aspira a scrivere romanzi che pretende financo di qualità approfittando dello stato confusionale in cui lo Spettacolo getta chiunque e qualsiasi cosa; per cui si scambia il pastiche dello stile (letterario, artistico) con ilrecital delle occasioni: un romanz(ett)o, una serata di degustazioni vini e formaggi, un concertino di malnati, tutto nella stessa scena ricreativa (e magari non vendono lo stesso: col che, la compassione è d’uopo).
Del resto, oggi v’è chi con le ricette aspira a scrivere romanzi che pretende financo di qualità approfittando dello stato confusionale in cui lo Spettacolo getta chiunque e qualsiasi cosa; per cui si scambia il pastiche dello stile (letterario, artistico) con ilrecital delle occasioni: un romanz(ett)o, una serata di degustazioni vini e formaggi, un concertino di malnati, tutto nella stessa scena ricreativa (e magari non vendono lo stesso: col che, la compassione è d’uopo).
Un grande scrittore che invece il pastiche sa cos’è (e lo pratica a un livello altissimo), nondimeno sa distinguere l’opera (benché mai finita, strutturalmente impossibilitata a concludere) dal mero intervento mondano, dalla cronaca capricciosa o dalla nota paesistico-sociale. Naturalmente, Gadda è Gadda: nella pagina non manca mai né l’invenzione linguistica né la percezione sulfurea dell’immancabile stupidità dei propri simili.
Intanto ti appresti ad azzardare la cottura di un “buon risotto alla milanese” lievemente intimorito dalle ammonizioni del maestro; ti avverte che abbisogni di una “casseruola rotonda, e la ovale pure, di rame stagnato, con manico di ferro; la vecchia e pesante casseruola di cui da un certo momento in poi non si sono più avute notizie;”: che dopo “l’apporto butirroso-cipollino, per piccoli reiterati versamenti sarà buttato il riso: a poco a poco, fino a raggiungere un totale di due tre pugni a persona, secondo appetito prevedibile degli attavolati”; e che i “chicchi dovranno pertanto rosolarsi e a momenti indurarsi contro il fondo stagnato, ardente, in codesta fase del rituale, mantenendo ognuno la propria personalità: non impastarsi e neppure aggrumarsi”.
Queste prose sparse, pubblicate per la prima volta in pochi esemplari nel 1961 dall’editore Riccardo Ricciardi, e ora riviste grazie alla cura di Liliana Orlando, consentono all’affezionato lettore di seguire Gadda alla Fiera di Milano, notare con lui la folla “agglutinarsi sì ma in un impasto dei più ragionevoli: serena, educata” (siamo negli anni Trenta…). O per mercati in cui vendono “turaccioli, grattugie usate, pipe con via il bocchino (…) ché tutto esiste a Milano, Milano è la scansia d’ogni possibilità”. Col suo “abituale malumore” capace di cancellare quello eventuale del lettore, Gadda ci porta anche fuori dai confini milanesi, nella pianura lombarda, nelle risaie delle mondine, in Versilia, per poi rientrare, in ideale benché controverso e mai pacificato ritorno, in terra milanese: sulle orme di Petrarca, che vi trascorse qualche anno, e “verso la Certosa” che adombra il destino che attende tutti noi.