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Autore:
Tsiolkas Christos
Temi
storie nuclei sociali ed esistenziali che sono al centro della vita
d’Occidente, quella che si vuole più aggiornata, meno chiusa in se
stessa, interculturale più per necessità che per convinzione – nello
specifico, Melbourne, Australia: nativi da più generazioni pochi,
immigrati o loro figli - molti, dimentichi delle origini ma ignari del
futuro, come tutti: dall’India, dalla Grecia, dalla Serbia, e persino
aborigeni convertiti all’Islam. Fra le pastoie del politically correct
e l’imbecillità new age, il disorientamento della cultura liberal
progressista giunge al capitolo finale in cui veleni e bubboni e
recriminazioni tra amici, familiari, mogli e mariti e amanti esplodono e
crollano tutt’assieme. Ne Lo Schiaffo
che dà il titolo al sapido romanzo di Christos Tsiolkas (bella
traduzione di Marco Rossari), schiaffo dato da un uomo che non è il
massimo dell’eleganza ma non è nemmeno un tamarro peggiore della media, a
un bambino di tre anni straordinariamente insopportabile, che ciuccia
ancora dalle tette materne e viene trattato con tutti i crismi di una
maternità new age puerile, inconsistente e perciò potenzialmente –
classico caso da eterogenesi dei fini - fascista (destinata cioè nel
suo anarchismo velleitario a crescere figli che saranno del tutto
ineducati alle regole del vivere comune, insomma un caso da manuale del
come si fabbrica inconsapevolmente un fascista in casa) – in quello
schiaffo v’è il precipitato della crisi di senso di questi anni.
Non
è niente affatto vero come ha scritto qualche recensore nostrano che il
titolo è occasionale, e l’episodio marginale nell’economia del libro.
Vero proprio il contrario: quello che sarebbe stato fino a trent’anni fa
un gesto poco commendevole, violento, brutto quanto si vuole ma non un casus belli
da rappresentare al mondo (in forza di tribunali o becere trasmissioni
televisive pronte a fabbricare mostri), nel caos impregnato di violenta
stupidità che oggi sembra superare i confini di Berlusconia, non pago di
essere spropositatamente drammatizzato rispetto al suo peso
‘oggettivo’, diventa emblematico di un mondo collassato, profondamente
instupidito, nel quale un’acredine goffa infila i suoi protagonisti in
un buco nero senza vie d’uscita - uno per uno. L’aggressiva discordia di
questo multiforme specimen sociale, l’incapacità di
ridimensionare un gesto certo censurabile ma vissuto come se dalla sua
valutazione dipendessero le sorti del mondo, ecco, se da una parte
mettono in moto una serie di conseguenze che costruiscono la nerissima
commedia del libro, dall’altro rappresentano una spia della crisi
filosofica e morale che dilania l’Occidente da Parigi a Melbourne.
Tutto
questo non farebbe del romanzo di Tsiolkas un libro da leggere a tutti i
costi, se non fosse che la dirompente conflittualità di visioni della
vita contrastanti, è raccontata tutta in situazione. Le riflessioni dei
personaggi s’insinuano nelle loro azioni senza mai appesantirle – la
voce narrante dà una lezione precisa di cosa voglia dire sparire e far
parlare le scene in sé. E queste scene – sorvolando sulle solite
parentele attribuite a sproposito con gli immancabili Roth e De Lillo –
hanno tutto quello che chiediamo a un buon romanzo: personaggi vivi,
carne, sangue e respiro. Ossia messinscena di corpi che si muovono in
cerca di un senso nella vita che non trovano ma lo fanno mangiando (lo
schiaffo viene mollato in un barbecue nel quale si è commesso il fatale
ma inevitabile errore nella società multirazziale di invitare persone
troppo diverse fra loro che non sempre riescono a tenere a freno
reciproche diffidenze); lo fanno scopando (moltissimo qui, e il sesso,
seppure alla fin fine ben poco gioioso, è un motore non di secondo piano
nel mettere in circolo piaceri e tormenti e casini dei protagonisti);
litigando e mandandosi a quel paese, parecchio, tradendosi, ordendo
macchine vendicative smisurate per riparare i torti subiti, come se la
vita non fosse altro che il luogo di una battaglia in cui lasciare la
pelle il più tardi possibile. Bei dialoghi, ottimo ritmo, senso della
scena e tenuta narrativa. Certo, divertente, se non si è troppo
sentimentali.