Ora tutti a dire quanto è emblematica l’immagine
del crollo a Pompei - persino i politici che questo paese lo hanno massacrato con l'appoggio entusiasta della famigerata maggioranza degli italiani - ora che il crollo a forza di ripetersi non è più emblema né tantomeno
metafora delle rovine in corso ma paesaggio globale dalle Alpi agli Appennini.
La verità, a parte corsi e ricorsi storici che in Italia sono sempre gli stessi, le magie di Tremonti riescono tutte, che i prestanome siano Bondi o Gelmini, la
macchina iperbolica dello sfascio non ne sbaglia una: nella mia scuola i secchi
di plastica sono sparsi per i corridoi come immagini surrealiste, incongrue
(Tremonti odia i libri ma conosce a memoria la lezione dell’Ubu Roi), ché il soffitto è un lusso di cui il Tesoro non si
può occupare. Si spera che piova poco - ma forse il momento è un altro, forse la storia s'invera e trova infine una forma, per cui, per rimanere a Jarry, "non avremo distrutto nulla finché non avremmo distrutto anche le rovine".
Con i banchi ci stiamo arrangiando, i
ragazzi stanno a due a due, e fra l’altro si scaldano a vicenda (a volte
troppo). Poco lontano da dove scrivo, Roma caput mundi, i banchi sono firmati
da uno sponsor, “Lo zio d’America”, che è un bel bar, bisogna ammetterlo…
Quando lo sfascio di Pompei sarà completato, ne faranno una copia a conduzione
privata, pubblicità a cura della Santanché, un altro prodigio dei tempi. Si
farà pagare con l’eleganza che la contraddistingue, appiccicando una sua foto
sull’affresco di un postribolo.