Scrittore appartato, per vocazione e scelta non certo per marginalità dell'opera, Giovanni Mariotti ci regala un racconto di rara sensibilità e nessun patetismo (scrittrici italiane, imparate come si fa) sull'età liminare della vita, condizione esistenziale che da noi in Italia soffre di una dimenticanza sociale avvilente – e mal compensata dalla gerontocrazia politica. Un romanzo brevissimo, una casa che è l'ultima, quella in cui finiranno per morire, una coppia di anziani che vi si aggira quasi sottovoce, la donna che non smette di disegnare piantine (un'altra casa, un'altra vita, un'altra possibilità?). Tutto con acuminato discernimento di ogni attimo di vita sensibile, non solo quella residua ma quella già vissuta da giovani, dai due che, come ogni umano quotidianamente partecipe anche di una vita altrui – vita con la quale ha condiviso sogni, noia e inevitabili delusioni –, fanno dell’esistenza un flusso continuo in cui ogni cosa è mescolata con le altre, ogni attimo con il passato, e soprattutto vividissima anche da morta. Bello di una grazia rara.
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