sul recensore.com
Un altro mondo, davvero. Lecito una volta tanto lasciarsi andare alla nostalgia quando parliamo di “The Rumble in the Jungle”.
Il match pugilistico per eccellenza, fra lo splendido Muhammed Alì, al secolo Cassius Clay, e George Foreman, pugile di una potenza devastante come poche volte si è visto nella storia della boxe.
Leggersi “La sfida” (Einaudi 2012) di Norman Mailer significa rivivere quella straordinaria pagina di storia dello sport, che fu molto di più: un esempio insuperato di come anche la brutalità di una violenza inaudita, capace di distruggere la vita di uomo (se è vero che il Parkinson del meraviglioso Alì fosse il lascito avvelenato di un incontro di boxe, anche se non questo), possa soggiacere a un’idea estetica del gesto. Ma non fu solo questo (bellezza e tecnica e coraggio). Non fu nemmeno solo il capolavoro di tattica di Cassius Clay, che lo vinse quell’incontro per ko all’ottava ripresa, dopo aver preso una gran quantità di colpi dal suo gigantesco avversario, colpi che però ebbero il solo effetto di spossarlo, Foreman, snervarlo, esaurirne le energie fino ad aprire il varco che il nero islamizzato che aveva sconcertato e meravigliato il mondo per le sue scelte politiche, civili e culturali, stava aspettando.
L’incontro ebbe luogo a Kinshasa, Zaire. Era la fine di ottobre del 1974. Foreman era il campione in carica. Aveva vinto 40 incontri su quaranta. Vinceva con una tale facilità da annoiare. E poi era un tipo chiuso, poco interessante per il mondo dello spettacolo. Alì aveva una storia unica. Anni di squalifica per essersi rifiutato di partire per il Vietnam, ostacoli vari per impedirgli di combattere, la conversione all’Islam dei padri neri, la corrosiva e strafottente disposizione comunicativa, rivolta agli avversari come alla politica imperialista americana (a suo avviso tutt’altra che pacificata quanto al razzismo). Aveva perso l’ultimo incontro con Joe Frazier ma aveva tutta l’intenzione di riprendersi il titolo che gli avevano sottratto una decina di anni prima per le sue prese di posizione.
Foreman era strafavorito, si trattava di vedere solo quanto Clay avrebbe resistito. Bene, Mailer racconta, prima che la sfida sportiva, quella che lo strepitoso danzatore del ring preparò nelle settimane precedenti. Come seppe sfruttare quello che oggi si direbbe il fattore campo, in quel caso l’Africa nera dello Zaire.
Clay empatizza con il continente nero, trascina il pubblico in attesa dell’evento dalla sua parte. In quel contesto ritorna a essere l’africano delle origini (storiche). E Foreman si sente fuori posto. Come se nero lo fosse per caso. Non gli garba il clima, nemmeno quello metaforico, non gliene frega granché delle questioni razziali, del coté politico – che poi, non era nemmeno facilmente schematizzabile in un qualche paradigma di comodo, visto che vi comandava il dittatore Mubutu.
Alì prese dalla scena quello che gli serviva. Fu artefice di una guerra psicologica spietata, da stratega sofisticato. Fuori del ring, ma mentre fa questo prepara il match vero e proprio. E lì tira fuori un’invenzione geniale. Sorprende l’avversario da subito, al primo round, attaccandolo. Poi mette in pratica un piano pazzesco. Invece di passare il tempo a ballare com’era solito fare, gioca in difesa, sì, ma aiutandosi con una guardia perfetta che rende complicatissimo il lavoro di Foreman, raramente in grado di colpirlo in maniera significativa. Ma soprattutto Alì sfrutta l’elasticità delle corde del ring, restandovi appoggiato per minuti interi così da attutire la violenza dei colpi e non farsela pesare sulle gambe. Fino all’ottava incredibile ripresa.
Mailer scrive forse il miglior libro della sua vita. La sola cosa che disturba nel racconto è l’eccesso di similitudini con cui cerca di tenere stilisticamente alto il tono della storia con l’effetto ogni tanto di perdere invece la tensione – ma è un difetto contenuto, alla luce di uno scontro (reinventato da vero scrittore) che il lettore può leggere come se l’avesse davanti agli occhi. E ai più giovani che non l’avessero mai visto non possiamo davvero non consigliare di leggere prima il libro, poi magari dimenticarlo e guardarsi il filmato dell’evento in rete, perché quella bellezza lì il pugilato – morto da un pezzo come tutti sanno – non è stata più in grado di offrirla.