Quattro saggi fra vita, forma e linguaggi.
Isabella Mattazzi con i quattro studi compresi ne L’ingannevole
prossimità del mondo
(Arcipelago, pagine 154, euro 10,00) s’interroga sulle forme dell’immaginario
romanzesco occidentale. Dal settecentesco Tiphaigne de la Roche (autore di un
romanzo visionario, Giphantie,
nel cui racconto di un “viaggio meraviglioso” sembra affacciarsi l’idea moderna
di una percezione non esente dall’apporto delle macchine), al romantico E.T.A.
Hoffmann, dal Potocki del Manoscritto trovato a Saragozza (sul quale Mattazzi ha già lavorato in passato) a
Calvino, il libro traccia un’interessante mappatura di specole attraverso cui
la narrativa moderna ha interrogato il mondo. Tratti convergenti: acutezza
problematica dello sguardo, implicazione del linguaggio nell’osservazione,
inafferrabilità (o inesistenza) di un ordine compiuto.
Altissima povertà
(Regole monastiche e forme di vita) è l’ultimo capitolo in ordine di apparizione della ricerca sull’
“Homo Sacer” di Giorgio Agamben, filosofo fra i pochi che in Italia hanno
mostrato in questi anni di avere qualcosa di davvero importante da dire. Nel
libro (editore Neri Pozza, pagine 190, euro 15,00) Agamben s’interroga sul
rapporto tra regola e vita che mai come nel monachesimo francescano ha tentato
la forma assoluta di una “liturgia integrale e incessante” che coincidesse con
la vita stessa. Il “cenobio” è stato dunque il tentativo di un “terzo piano di
consistenza”, risultato di un superamento dei poli della regola e della vita.
L’indagine di questo piano è l’oggetto del libro, con un’acquisizione
preliminare e decisiva: la forma di un’esperienza umana sottratta alla presa
del diritto in cui non si dà proprietà ma soltanto uso comune.
Homo Interneticus.
Restare umani nell’era dell’ossessione digitale è un saggio denso di questioni inerenti lo stato
dell’uomo internettiano, firmato dal saggista americano Lee Siegel e tradotto
in Italia da Piano B (pagine 187, euro 13,50). Sembra un attacco alla rete e in
parte non esigua lo è. Più esattamente, si tratta di un ragionamento articolato
intorno alla condizione complessiva in cui l’entusiasmo incontrollato e un po’
fanatico del web (si pensi all’esaltazione acritica che di wikipedia fanno i
suoi estensori) rischia di gettare ognuno di noi, visto che la saturazione
comunicativa c’illude di incrociare una proliferazione infinita di messaggi –
uguali ai nostri, altrettanto solitari e fantasmatici. Come la libertà presunta
– il paragone ricorre nel libro di Siegel – di starsene nell’abitacolo della
propria auto. Copertina di Maurizio Ceccato.
Nel saggio Quando il corpo è delle altre (Bollati Boringhieri, pagine 157, euro 15,00)
l’antropologa Michela Fusaschi guarda al ricorrente
tema del corpo delle donne mettendo in discussione il sistema valoriale e simbolico che l’Occidente pretende di
imporre agli altri. Non che la studiosa trovi il repertorio di mutilazioni
genitali in terra africana commendevole, ma il suo studio muove dal bisogno di
smascherare la retorica di “buoni sentimenti” che nasce dal pulpito di sale
operatorie sofisticate in cui la chirurgia genitale rimodella i corpi delle
donne occidentali illudendole di essere libere. Il pensiero “liberale” si
accampa nella potenza tecnologica per trovare liceità nelle proprie pratiche
con ciò censurando qualsiasi altro orizzonte culturale.