su lankelot
Consultava I Ching,
inventava ricette macrobiotiche e partecipava a trasmissioni popolari
come “Lascia o raddoppia”. Detta così, potrebbe essere solo una traccia
biografica qualunque, magari di un tizio appena un po’ eccentrico.
Invece stiamo parlando di John Cage, un eccentrico certo, ma soprattutto
rispetto al mondo di cui faceva parte, e del quale ha segnato un
momento singolare nella storia del ‘900: la musica. Dal pianoforte
preparato all’alea come paradossale “struttura”, dal silenzio come
principio fondamentale al rumore che rumore non è, l’esperienza del
geniale americano ha attraversato molti snodi del linguaggio artistico
(direi prima che meramente musicale) di un tempo che ora sembra
lontanissimo solo perché il cosiddetto neoromanticismo degli ultimi
trent’anni ha prodotto devastazioni non molto differenti da quelle
conosciute dall’Occidente politico. Aperto peraltro, Cage, e non troppo
casualmente, anche al pensiero orientale; ma il suo era un interesse
scevro dallo stucchevole arredamento estetizzante e facilmente esotico
dei più.
Di questo e molto altro si occupa il ponderoso volume a cura di Giacomo Fronzi, edito da Mimesis, John Cage – Una rivoluzione lunga cent’anni,
che celebra degnamente il centenario della nascita e si avvale di
decine di contributi. A partire da un’inedita – per il pubblico italiano
– intervista di Stephen Montage, studiosi come Enrico Fubini,
Alessandro Bertinetto, Elio Grazioli e molti altri affrontano l’universo
cageano da prospettive diverse. L’eterogeneità d’intenti e argomenti
vale di per sé a testimoniare come la figura di Cage abbia terremotato
territori espressivi molteplici: giusta l’ovvia definizione di
avanguardia, disposizione incline al crocevia di arti, estetiche (non
mancando la filosofia): live electronics, danza, arte visiva,
happening, teatro, radio. E poi c’è il Cage anarchico, il lettore di
Thoreau che però tende a non confondere il momento espressivo con
l’adesione a una prassi ideologica - vale la distanza con un compositore
per altro interessantissimo come Cornelius Cardew che a un certo punto
lo accuserà di aver rinunciato alla rivoluzione. Quella rivoluzione che è
invece la cifra individuata dal curatore Fronzi, che di Cage traccia
anche un profilo biografico, dalla nascita nel 1912 lungo un percorso
che attraverso tutto il secolo ventesimo. Sempre spinto dall’urgenza di
sperimentare, convinto che l’arte non sia semplicemente un’azione, un
gesto tecnico, né tantomeno un “prodotto finito” ma sempre un processo
(Franco Degrassi) ma un modo di percepire il mondo e ridefinire il modo
di vivere degli individui, Cage “invita la creatura umana a rimettersi
in relazione col proprio ecosistema” secondo quanto scrive la musicologa
Fiorella Sassanelli in uno dei saggi più interessanti, dedicato al
tema del silenzio visto all’interno di una serie che comprende anche i
nomi di Giacinto Scelsi e Salvatore Sciarrino: tema centrale in Cage (e
meno ignoto ai più per il celeberrimo 4’33’’: molto banalmente “il
silenzio on esiste”) proprio perché più di altri apre un orizzonte
“sonoro” che sgretola la cornice in cui a suo avviso si chiudeva la
nozione stessa di “musica”.
Incursore
spregiudicato in territori sconosciuti, “compositore non intenzionale”,
Cage scompagina d’un tratto l’intera tradizione occidentale: con
l’agilità di un monaco zen un po’ burlone fa spallucce al lavorio
pedante della scuola dodecafonica potendo oltrepassare con un solo salto
la dialettica storica fra tonalità e atonalità (una “disincantata
libertà” la sua, la definisce Fubini). Microfoni sparsi nell’aria,
nastri magnetici, materiali elettronici nei quali ripone forse eccessiva
fiducia: punto culminante della modernità e insieme suo epilogo, ad
avviso – non so quanto persuasivo - di Marco Gatto. Le opzioni, le
letture sono – e non potrebbe essere diversamente – contrastanti, ma,
quel che conta, riccamente argomentate. Il corpo di apparati che segue
(bibliografia, discografie, interviste, scritti, video) contribuisce a
fare del volume un’opera fondamentale per conoscere Cage, rilanciarne la
figura all’interno di una storia non solo musicale dopo la quale niente
è più stato come prima.