Dizionario del Pop-Rock della Zanichelli...
Già detto a proposito del “Morandini” qualche mese fa: nell’era del web, dizionari, repertori, opere di consultazione per orientarsi su determinati argomenti rischiano di trasformarsi in materiali obsoleti. Ciononostante c’è chi (per esempio chi scrive) continua a trovarli ancora utili, o comodi, o forse semplicemente rassicuranti. Il punto è che un lavoro unitario – anche nel caso di enciclopedie che sappiamo affidate a estensori diversi – per sua natura reclama una qualche organicità, una specie di equilibrio strutturale che lo legittimi come “opera”. E nel caso di un dizionario del pop-rock la faccenda si complica. Il motivo è scontato: i confini di questa musica sono fragilissimi, nessuno può dire con certezza dove inizino e finiscano. Peraltro, si potrebbe aggiungere che “pop-rock” (in luogo di pop & rock) sarebbe categoria a sé che esclude il mero pop (fossimo certi di sapere cos’è il mero pop…). Laddove gli stessi autori dicono di riferirsi a un “ambito il più ampio e impreciso possibile”.
Così, aprendo il volume a caso, ci si imbatte in Marco Masini (italico cantante di cui anni fa musicofili ignari ebbero una qualche sconcertata contezza ascoltandone casualmente in radio l’hit Vaffanculo, che, ci informa l’autore della voce, l’ingrugnito giovanotto dedicava ai suoi detrattori) e poi in Jon Hassell, semplicemente uno dei più grandi musicisti viventi, trombettista e compositore formatosi con Stockhausen e Pandit Pran Nath, mirabile artefice di musiche di sconfinata bellezza che non hanno nulla da invidiare a nessuna musica “colta” o, per taluni, “avantgarde” (a zero tasso pop).
Fa un effetto grottesco, ecco il punto. Ancor più considerando la faccenda da una prospettiva non si vuol dire oggettiva (che non è possibile) ma con l’ipotetico sguardo (e ascolto) di un lettore “medio” che cerca di orientarsi in questo mare immenso: i giudizi rischiano di creare un blob molto poco trasparente, indistinto e poco credibile. Il difetto, ripetiamo, è anche interno al concetto di pop-rock (alla mescidanza dei suoi apporti): giunti agli estremi ci accorgiamo che le distanze si fanno impossibili. Se l’ascoltatore “medio” s’imbatte in La Monte Young o in Robert Ashley (per rimanere su grandi nomi – assenti dal volume) troverà dei punti di contatto con Hassell, non con Jovanotti o Gigi D’Alessio (presenti eccome), tanto meno con Orietta Berti o Toto Cutugno (assenti: e perché?). Insomma, l’impresa, a esigere un po’ di rigore, non è per nulla pacifica. Forse sarebbe ora di storicizzare; e/o individuare altre categorie più precise che ci salvino dalla melassa di una definizione, pop-rock appunto, che non aiuta.
http://www.youtube.com/watch?v=Wa0If3jNekg
Già detto a proposito del “Morandini” qualche mese fa: nell’era del web, dizionari, repertori, opere di consultazione per orientarsi su determinati argomenti rischiano di trasformarsi in materiali obsoleti. Ciononostante c’è chi (per esempio chi scrive) continua a trovarli ancora utili, o comodi, o forse semplicemente rassicuranti. Il punto è che un lavoro unitario – anche nel caso di enciclopedie che sappiamo affidate a estensori diversi – per sua natura reclama una qualche organicità, una specie di equilibrio strutturale che lo legittimi come “opera”. E nel caso di un dizionario del pop-rock la faccenda si complica. Il motivo è scontato: i confini di questa musica sono fragilissimi, nessuno può dire con certezza dove inizino e finiscano. Peraltro, si potrebbe aggiungere che “pop-rock” (in luogo di pop & rock) sarebbe categoria a sé che esclude il mero pop (fossimo certi di sapere cos’è il mero pop…). Laddove gli stessi autori dicono di riferirsi a un “ambito il più ampio e impreciso possibile”.
Così, aprendo il volume a caso, ci si imbatte in Marco Masini (italico cantante di cui anni fa musicofili ignari ebbero una qualche sconcertata contezza ascoltandone casualmente in radio l’hit Vaffanculo, che, ci informa l’autore della voce, l’ingrugnito giovanotto dedicava ai suoi detrattori) e poi in Jon Hassell, semplicemente uno dei più grandi musicisti viventi, trombettista e compositore formatosi con Stockhausen e Pandit Pran Nath, mirabile artefice di musiche di sconfinata bellezza che non hanno nulla da invidiare a nessuna musica “colta” o, per taluni, “avantgarde” (a zero tasso pop).
Fa un effetto grottesco, ecco il punto. Ancor più considerando la faccenda da una prospettiva non si vuol dire oggettiva (che non è possibile) ma con l’ipotetico sguardo (e ascolto) di un lettore “medio” che cerca di orientarsi in questo mare immenso: i giudizi rischiano di creare un blob molto poco trasparente, indistinto e poco credibile. Il difetto, ripetiamo, è anche interno al concetto di pop-rock (alla mescidanza dei suoi apporti): giunti agli estremi ci accorgiamo che le distanze si fanno impossibili. Se l’ascoltatore “medio” s’imbatte in La Monte Young o in Robert Ashley (per rimanere su grandi nomi – assenti dal volume) troverà dei punti di contatto con Hassell, non con Jovanotti o Gigi D’Alessio (presenti eccome), tanto meno con Orietta Berti o Toto Cutugno (assenti: e perché?). Insomma, l’impresa, a esigere un po’ di rigore, non è per nulla pacifica. Forse sarebbe ora di storicizzare; e/o individuare altre categorie più precise che ci salvino dalla melassa di una definizione, pop-rock appunto, che non aiuta.
http://www.youtube.com/watch?v=Wa0If3jNekg