dal recensore.com
Basterebbe il primo racconto, “Louise”, per capire di che pasta sia fatto il perfido humour di W. Somerset Maugham, autore delle cattivissime “Storie ciniche“ raccolte nel volume uscito da poco per Adelphi, una dozzina di racconti ambientati al solito in giro per il mondo.
Louise, a suo tempo “ragazza diafana con grandi occhi malinconici”, si accampa con agio nelle riserve di una vita messa forse a rischio (ma lei mostra di crederci sul serio, e così tutti quelli che la circondano) da una vaga debolezza di cuore procuratale nell’infanzia dalla scarlattina. In effetti sembra venir meno se non il suo cuore almeno la forza per vivere delle giornate normali, ogni volta che la ragazza si trovi in situazioni per lei poco gradevoli (le feste noiose per esempio, le persone antipatiche, le incombenze sgradevoli). Destinata per tutti a una vita breve, resiste invece per decenni, si sposa due volte e in entrambi i casi resta vedova, fino a quando viene messe alle strette dal narratore, un amico che pare il solo ad aver capito in tanti anni la sua felice attitudine alla menzogna sofisticata. Difatti il giorno delle nozze della figlia – giorno che Louise dice di aspettare con ansia e che teme invece come una disgrazia irreparabile - pensa bene di dar soddisfazione a lei e all’amico facendosi venire uno dei suoi attacchi, solo un po’ più serio degli altri (“morì perdonando delicatamente a Iris di averla uccisa”).
Anche in queste storie dunque dell’autore di romanzi come Lo scheletro nell’armadio, Maugham dà una dimostrazione di quella intelligenza che non si sa bene perché agli scrittori italiani piace solo declinata come “narrativa”. Ossia come capacità di imbastire trame e intrecci ma senza aprire mai una fessura di luce nuova, rivelativa su un personaggio, su un rapporto umano – ossia, su noi stessi. Il cinismo di Maugham è un modo di conoscere e raccontare esente da perifrasi perbeniste (peraltro arioso anche nella descrizione di vite anguste e miserande) che molti liquidano come al più “divertente” ma non serio, con ciò mostrando non tanto quanto siano limitati i loro orizzonti estetici, che sarebbe secondario, ma la diffidenza (antropologicamente cattolica anche se ci si dichiara atei o agnostici) di una cultura come la nostra per la verità compunta che non sia pronta per la redenzione.
Dal figuro di Vladivostok che si commuove parlando della moglie morta malcelando di essere lui l’assassino, alle signore determinatissime a sbarazzarsi di uomini pesanti portandoli fino all’Oriente Estremo che Maugham ben conosceva, lo scrittore britannico attraversa il mondo e ne afferra gli aspetti più beffardi e inemendabili. Felloni o mignotte, artisti della crudeltà o mentecatti del crimine, i personaggi di Maugham sono straordinariamente vivi. Maugham, che ambienta le sue storie a qualsiasi latitudine, cosmopolita lo era intanto nello sguardo – disincantato davvero, il che non vuol dire abbandonato a una mera radiografia degli umani che incontrava e descriveva. Partecipe piuttosto come e quanto chi sa che amare la vita non ci impedisce di guardarla per ciò che è, grottesca e menzognera, senza risparmi per nessuno. L’eleganza virile e sentimentale insieme di Maugham è proprio ciò che manca alla nostra stanchissima romanzerìa.