Fernando Coratelli
In occasione dell’uscita del suo secondo libro, Quando
il comunismo finì a tavola (l'editore è CaratteriMobili di Bari, avanguardia del "piccolo ma sveglio", fra narrativa, saggistica e cinema - e grafica curatissima) Fernando Coratelli ci ha gentilmente rilasciato questa intervista. Le
caratteristiche del romanzo ci hanno indotto intanto a domandargli quanto
coincidano il narratore-protagonista del libro e lo scrittore in carne e ossa.
Non per la solita pruriginosa curiosità su eventuali tracce autobiografiche ma
per il fatto che il libro inscena dei “discorsi” sul mondo, idee, insomma.
Fernando, m’interessa il punto di vista
dell’autore empirico, diciamo.
All’inizio del libro, come avrai visto, c’è
un’avvertenza al lettore: l’io narrante e il narratore non collimano
perfettamente. Ma autore e protagonista hanno parecchi punti in comune, in
particolare circa le idee e le considerazioni sul mondo e sulla sinistra. A
dire il vero sono molti anche i riferimenti autobiografici, direi che se si
esclude l’escamotage narrativo dell’intervista il resto è quasi tutto
coincidente con la mia biografia personale. Beh, ho cambiato qualche nome e ho
invertito qualche episodio, questo per dare a certe idee più vigore.
Mi par di capire che concordi sostanzialmente
con l’idea che l’89 per l’Occidente sia stato una catastrofe.
Lo profetizzò a suo tempo pure Giulio Andreotti
(c’è una frase che metto in esergo). L’89 è stato una catastrofe e peraltro ha
chiuso in anticipo il Novecento, il secolo breve, che si era anche aperto in
ritardo nel 1914 con la Grande Guerra. La caduta del Muro ha avuto un effetto
domino dirompente sia sul proscenio internazionale sia su quello italiano.
Basti pensare alla Guerra del Golfo del 1990 di Bush padre: l’Unione Sovietica
era ancora in piedi, ma ormai si era capito che non avrebbe più fatto da contrappeso
(nel bene e nel male) a un’iniziativa di guerra da parte statunitense. Anche se
quella guerra fu condotta sotto l’egida dell’Onu, con tutti i crismi
internazionali eccetera, fu chiaro a tutti che da quel momento la Nato avrebbe
sostituito l’Onu. In Italia, invece, la caduta del Muro accelerò quel processo
di americanizzazione della sinistra che portò in fretta e furia a mettere in
soffitta bandiere, simboli e storia per darsi alla grande abbuffata al cui
tavolo da anni mangiavano democristiani e socialisti.
L’incrocio è obbligato. Hai vissuto con un certo
coinvolgimento l’ambito politico e sei uno scrittore. Quale credi che sia un
contributo possibile della letteratura allo stato delle cose? Non parlo in
generale, dico oggi, in Italia.
È una domanda che ho sperato tu non mi facessi. So
di essere assai pessimista al riguardo. Di botto risponderei “contributo
possibile – nullo”. Non so se la letteratura e l’arte in generale abbiano più
potere di cambiare (se mai lo hanno avuto) le cose. Temo siano state del tutto
disinnescate. Si può tentare di dare voce a chi voce non ha. Ma qui poi sorge
un altro problema. Se anche la letteratura desse voce a
emarginati/precari/vessati ci sarebbe poi qualcuno in ascolto? Fuor di
metafora: chi legge oggi? So che non si risponde con domande a domande, ma sai
io mi sento solo un narratore, pongo interrogativi cui io stesso cerco
risposta.
L’io narrante del tuo libro annovera fra i suoi
scrittori di riferimento Brancati, Bianciardi, Pontiggia… E il primo libro di Erri
De Luca. Io ho molte riserve sullo scrittore napoletano. Cos’è che attrae
invece il tuo personaggio (o forse proprio Fernando Coratelli)?
Beh, Non ora, non qui è un gran romanzo, dal mio punto di vista.
Stilisticamente e narrativamente. Poi sì, gli ultimi suoi romanzi/libri non
hanno convinto tanto neanche me. Però io gli devo molto da un punto di vista
personale e umano.
Lavori molto in rete. Tornogiovedi, che dirigi,
è una bella rivista che tiene insieme scrittura, architettura, fotografia,
riflessioni. Non mancano però nel libro considerazioni assai critiche
sull’utilizzo della rete, facebook in primis. Fuori dai denti: pensi che serva
ad altro che ad autopromuoversi?
La rete in generale è qualcosa ormai di
imprescindibile. Non so cosa ci riservi il futuro dal punto di vista
tecnologico, ma credo che il nuovo secolo inizi proprio lì dove il vecchio
finiva, a cavallo tra l’89 e il 1993 – fra la caduta del Muro e l’arrivo di
Internet. Detto questo, Facebook è sì un ottimo strumento di autopromozione (ma
anche di promozione in generale), una buona agorà in cui dire qualcosa senza
uscire di casa. Ma poco altro. Come Twitter, del resto. Io non credo troppo
all’informazione dal basso, spesso è più falsata e mediata di quella dall’alto
– soffrono le stesse psicosi goebbeliane. Se io ora andassi sul mio profilo
Facebook o Twitter e scrivessi che “x” è un corrotto o “y” è stato arrestato,
non vuoi che fra i miei mille e più contatti ci sia almeno uno che senza
documentarsi rimbalza la notizia e a cascata essa si sparge per la rete? Casi
simili sono già accaduti peraltro. No, non credo che i social network possano
evitare di sporcarsi le mani di falsità e storture come i media canonici.
Mi pare che nel tuo futuro di scrittore sia alle
viste un romanzo con un editore romano. Un’ anticipazione?
Sì, nel 2013 uscirà un mio nuovo romanzo per Gaffi
editore. È però di tutt’altra pasta rispetto a questo. È un romanzo corale, in
terza persona, piuttosto corposo con un plot consistente, in cui analizzo
l’accidia, l’individualismo e la confusione dell’Occidente.