9 gen 2010

Scrittrici italiane. Il piagnisteo al lavoro.



Posto qui un articolo scritto per il paradiso tempo fa.




Vorrei aggiungere un paio di riflessioni a quelle che ha fatto Alfredo Ronci a proposito del libro di Cesarina Vighy, L’ultima estate.
Ronci scrive che ormai in Italia non si ha più “rispetto per il lettore”. Fa segnatamente riferimento alla triste situazione della letteratura femminile, landa di garrule prefiche, opportunamente inserita nel miserevole andazzo in corso di politiche markettare scambiate per rovello critico, brutture insipide vendute come capolavori e via discorrendo – e mi permetterei di aggiungere, di difficoltà di pubblicare con editori robusti quando, con Niccolò Franco, si scrive come si deve, ossia dicendo “pane al pane e cazzo al cazzo”.
Chiedo a Ronci e ai lettori del “Paradiso” di provare a rovesciare la questione, cioè a focalizzare l’attenzione sull’implicito pubblico dei lettori (verosimilmente, delle lettrici). Per far questo occorre attenersi nel ragionamento alle signore che vendono di più – l’unico che mi sento di fare anche perché non conosco abbastanza scrittrici fra quelle che vendono poco.
Be’, io credo che la letteratura femminile in Italia non esiste perché non esiste una società declinata al femminile che abbia il coraggio di prendere le distanze dal modello in auge della fica a domicilio, che sia quello privato di un privato, di un privato che usa un palazzo dello Stato, di un privato che usa la televisione che fu sua e quella di Stato che lo è diventata – di farlo cioè senza scivolare nel patetismo della vittima. Senza cioè accampare in letteratura e non solo l’incongrua virtù di una debolezza ontologica che le sussume loro malgrado nel ruolo della vittima. 

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