29 gen 2010

La scuola dall'onda

Per la cura di  Giorgio Morale una riscrittura minima di alcune pagine del mio romanzo L'onda sulla pellicola



Immaginate di trovarvi nell’immediata periferia di Roma, in una specie di scantinato prossimo a sprofondare nell’Aniene, parente povero del Tevere. Immaginate un edificio fatiscente, una specie di prolasso in cemento che slitta poco sotto il fiume sotto i vostri occhi da una finestra che pare quasi un oblò. Immaginate che davanti a voi, una trentina di tifosi dai quindici ai venticinque-sei anni più o meno, senza una lingua a disposizione che non sia vaffanculo e pezzo de merda, in attesa della domenica starnazzino lì, in uno stanzone gelido in cui consiste l’aula più grande ancorché approssimativa di una scuola privata. Immaginate che altre grida schiocchino nei corridoi e affoghino nel buio. Immaginate raffiche di muffa e di orina. Porte che sbattono. Vetri che si frantumano, qualche volta.
Ecco, provatevi poi in questo spazio abbrutito, fra motori rombanti sul cortile, gente che entra e esce come vuole, provatevi a impostare la voce più ferma possibile e cercate di dargli un senso mentre raccontate le ansie amorose dell’Ortis– be’, se riuscite a non farla sbriciolare come polistirolo sotto la macchina dura del loro rumore per poi tornare a casa sani e salvi, che cosa dirvi, avreste tutto il diritto di chiedere una medaglia al valore.


Se però la salute è precaria, vi sconsiglierei di accettare la sfida. In questa specie di budello sotterraneo, in questa sorta di spurgo gastroenterico della capitale d’Italia, si gela. Mentre mi stringo la sciarpa intorno al collo mi domando se avrà o no un significato il fatto che una scuola sia messa in un posto come questo. Si chiamano domande retoriche, e l’ho imparato non in un covo per delinquere come questo, ma in una scuola pubblica, sono passati tanti anni e molte cose – sarà l’età – mi sembrano peggiori.

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