19 set 2010

Valerio Magrelli rivisti - riletti





Nel condominio di carne
Einaudi, Torino 2003



Ci vogliono prima due cose che spieghino cos’è questo libro
Una bellezza esatta ma sulfurea, più Manganelli che Calvino quella qui esposta come una lastra tesa a fare i conti (perduti in partenza) con l’enigma metamorfico, capriccioso e multiforme del corpo.
Quando non si compiace nell’ostentazione estetizzante del trovato linguistisco (tale da mettere paradossalmente a rischio il pregevole sforzo di metaforizzazione che percorre il libro) l’esercizio topografico riesce ad approssimare il continente mostruoso scelleratamente definito ‘organismo’, il concerto delle malattie che lo invadono, l’apparato sghembo di congegni bislacchi ed eccentrici che lo abitano - eccentrici poiché nulla tiene insieme l’ensemble.
Impastato di organi rissosi, il corpo agisce su di noi come un’ interferenza, come una macchina dissonante di strumenti impazziti la cui musica il proprietario subisce come un intruso cieco e imponderabile. Assistiamo in questo poema in prosa a quella che l’autore definisce una psichizzazione che rovescia la facile psicologia della somatizzazione, ragione per cui mentre enuclea gli accidenti che lo attraversano, il corpo, noi lettori vediamo il suo sguardo sgomento, freddo e perplesso affacciato sull’enigma che condiziona (che è) la nostra vita. Veramente un bel libro.

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