18 feb 2010

Intervista a Guido Crainz




In un paese avvilente, che si è reso ostaggio di un uomo, dei suoi interessi  - oggi lo spettacolo penoso alla camera del "legittimo impedimento" - un paese pieno di sé e che nel contempo ne ha una stima scarsissima, che non sa pensarsi politicamente e che si è lasciato pappare il cervello da un piazzista che modifica a suo piacimento l’ordinamento istituzionale per farla franca e lucrare sul nostro lavoro – la vita, né più né meno -, dalle parti di questo popolo di entusiasti analfabeti insomma c’è qualcuno che prova non solo a resistere ma a rovesciare l’esito della partita: altrimenti a che serve la cultura?
Nell’ultima risposta all’intervista che mi ha rilasciato lo storico Guido Crainz mi piacerebbe scorgere una traccia di questo ribaltamento – nonostante il pessimismo, che condivido. La mappa è complessa, l’esame non sempre coincidente ma l’urgenza civile, il bisogno di capire e di mettere in circolo i contrappesi di cui parla lo storico dovrebbero essere anche i nostri.

Dunque professore, nel suo libro Autobiografia di una Repubblica, lei più che cercare costanti antropologiche nel carattere degli italiani - che pure non nega - trova nel fascismo una matrice decisiva della storia successiva fino a oggi. La guerra se lo portò via, il fascismo, ma di lì a poco si concluse sostanzialmente anche l'esperienza del Partito d'Azione. Pensa che la sua scomparsa dalla scena politica abbia avuto un significato e/o delle conseguenze rilevanti?

Quando penso al Partito d’Azione penso all’Italia laica, schiacciata dalle “due Chiese” che hanno dominato tutta la prima parte della storia della Repubblica. Per capire quello che abbiamo perso basta leggere quel che scriveva Bobbio nel 1955: essere laici significa sì impegnarsi nella lotta, ma al tempo stesso metter in discussione i termini della lotta così come sono posti, interrogarli criticamente.

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