GIUSEPPE MONTESANO
Di questa vita menzognera
Feltrinelli 2003
Di questa vita menzognera è titolo esplicito e finanche
didascalico non di un libro ma davvero di un’epoca, forse non solo italiana ma
che qui da noi trova un tristissimo valore paradigmatico. C’è una famiglia di imprenditori
napoletani, gente che fa il bello e il cattivo tempo, selvaggi e feroci come te
li aspetti. Hanno in testa un progetto delirante, come è la loro vita,
sceneggiata all’interno di un palazzo settecentesco, pseudo-borbonico, con
tanto di corte (precettori, segretari, ecclesiastici...). Non paghi di essere
già i padroni della città, progettano di venderla, assieme al Golfo e al
Vesuvio. Sulle rovine della Napoli “reale” sognano insomma di costruirne
un’altra, Eternapoli, una sorta di enorme parco tematico.
L’esercizio del paradosso, l’estetismo
incongruo, macchiettistico che pervadono la storia e i caratteri dei
personaggi, sono asserviti – con una magistrale variazione di segno - alla
volgarità di un potere tanto cafone quanto incontrastabile. Un mondo rovinoso di derive logiche diretto da una feccia
umana che riscrive il tempo e la storia secondo una impazzita volontà di
potenza, megalomane e criminale, pronta a radere al suolo un’intera città per
ricostruirla secondo un passato falso o verosimile poco importa comunque come giocattolo
da vivere per indigeni
e turisti.
Il delirio (che non supera di molto la
realtà stravolta che è poi il paese di questi anni) investe qui un popolo in
carne e ossa e il concreto spazio che abita. Napoli è ridotta a un’immonda accozzaglia
di servi e padroni, chiusa nel sacro recinto di una postborbonica famiglia
italiana - moderna solo nella delinquenziale disinvoltura necessaria a “vendere
l’esperienza reale di mondi che non esistono più”. Una Neapolis allucinata in cui
“ricostruire la vita di un tempo”, dopo averne azzerato carne e spirito vivente, per recitarvi,
se il caso, pure il terremoto, e morire, alla fine, per contratto: per il
piacere dei clienti-turisti, delle anime morte di oggi.