IL CERVELLO DI ALBERTO SORDI. RODOLFO SONEGO E IL SUO CINEMA
Recensione di Michele Lupohttp://www.satisfiction.me/il-cervello-di-alberto-sordi-rodolfo-sonego-e-il-suo-cinema//
“Ve lo meritate Alberto Sordi!” disse una volta Nanni Moretti, il cui cervello al
tempo era gestito in proprio ed era capace di battute epocali - ora è in appalto
a Francesco Piccolo mentre dietro quello di Sordi stava Rodolfo Sonego e chi
non capisce la differenza si merita Moretti, Piccolo e Piovani con le sue musichette
tristo-chic. Se Sordi non aveva mai letto un libro in vita sua (buonanima ci
perdonerà la moderata esagerazione), a scrivergli film che ora dove li trovi
(Una vita difficile, Lo scopone scientifico, Il vedovo) era un intellettuale bellunese,
sofisticato, di ottime letture giovanili, con ambizioni iniziali di pittore (“i miei
miti non si chiamavano Rossellini o Amidei ma Braque, Mondrian, Picasso”) t
enute al caldo negli anni della Resistenza, partigiano con tanto di nome di
battaglia, ‘Benevento’, e un nome vero, Rodolfo Sonego, che ancora non dice
granché ai più pur avendo contribuito in misura notevole a fare la storia del cinema italiano.
Ora, dobbiamo a uno splendido trovarobe di Tatti Sanguineti una conoscenza meno sommaria dello sceneggiatore: Il cervello di Alberto Sordi è un volumone che raccoglie note biografiche, interviste, chiacchiere,
rivelazioni su progetti realizzati o morti per strada che hanno visto la coppia Sordi-Sonego fare il bello e il
cattivo tempo (non è che tutti i loro film fossero memorabili, anzi, il declino dei due andando di pari passo
con le fallimentari ambizioni di regista dell’attore) del cinema nostrano – potrebbe forse sorprendere i lettori
che le storie di una coppia sì smaccatamente nazional-popolare trovi spazio nelle edizioni Adelphi. Ma
qualcuno saprà che c’era già stata anni fa la piccola edizione del Diario australiano: lì, fra gli appunti di
viaggio, si buttavano le tracce di un notissimo film girato da Luigi Zampa, Bello, onesto, emigrato
Australia sposerebbe compaesana illibata, ennesimo titolo fra gli innumerevoli firmati da Sonego.
Tatti Sanguineti ricostruisce e racconta attraverso la fabbrica dello sceneggiatore una vera summa
dell’antropologia italiana. Bugiardi, mammoni, papalini, teatranti, infantili figli di puttana, mostri insomma:
ed è lì, sul racconto di quella mostruosità indigena che si trova il punto di giunzione (l’unico, dice lo
sceneggiatore) che rende possibile l’avventura Sordi-Sonego. Pure, non è questa la cosa più interessante
del libro. Che la nostra commedia, quella migliore, comunichi al mondo alcuni dei tratti nazionali è cosa arcinota.
Né vale la pena insistere sugli aspetti melodrammatici, ridicoli e patetici della faccenda. La sorpresa caso
mai la offre la lucidità, la cultura illuminista di Sonego che vede con franchezza spietata non priva però di
amabilità sia nell’uomo che nell’attore (Sordi). Non gli risparmia nulla, a partire dagli inizi, quando conferma
la versione di Sanguineti al quale risulta che il giovane Sordi rompesse le scatole a tutti pur di lavorare
(“Quando Sordi canta Te c’hanno mai mannato a quer paese è perché lui in quegli anni a quel paese
ce lo mannavano spesso”). La durezza realistica anche dell’uomo (Sordi) veniva, secondo Sonego, dalla
mancanza di indulgenza che aveva patito sulla propria pelle tentando di farsi strada. Né Sonego si sforza
granché di negare il qualunquismo dell’attore, la sua incultura piccolo-borghese – laddove lo sceneggiatore
diceva di sé: “Ecco, io come uomo, sono l’esatto contrario del personaggio che continuo a raccontare e
al quale presto le battute che Sordi pronuncia da vent’anni sullo schermo”.
Pure, la grandezza dell’attore ne emerge assoluta – e, si direbbe, proprio da quel vuoto: andrebbe riconosciuto
– ma questa è idea dello scrivente – che l’arte di un attore non necessità di virtù intellettuali. Il mostro Sordi,
ignaro di biblioteche, ruffiano, italiano al peggio possibile, nostro prossimo vicino, ha trovato qualcuno che
sapeva farlo “essere”. Che gli ha dato modo di esercitare virtù certo in un attore più decisive: la follia, l’istinto,
il fiuto da “animale selvaggio”: questa era la verità di Sordi.
Ma non c’è solo lui nello spassoso – e anche utile (per tutte le schede filmiche che contiene) – libro di Sanguineti (Tatti, per fortuna). Sonego parla dei suoi film, dei suoi incontri, delle sue esperienze. Di uomo colto ma affrancato
da certi schematismi engagé imperanti fra gli anni Cinquanta e Settanta, tanto da non mandarla a dire a un
critico temutissimo e impantanato nel realismo soviet come Aristarco (benché Sonego fosse nella
lista dei fantomatici capi comunisti che il golpe sventato del generale De Lorenzo, 1963, prevedeva di
mandare a svernare in Sardegna). L’Italia gli stava stretta; di lì i numerosi viaggi, l’Africa, l’Estremo Oriente
(gli Usa non gli portarono solide fortune) - immaginarselo, in compagnia di quel “monoglotta irriducibile”
di Sordi, quasi una ripetizione dell’eterna coppia Don Chisciotte- Sancho Panza…
Lapidari poi alcuni ritratti; Vittorio De Sica: “il più grande uomo di cinema del mondo”; Antonioni,
“un grande fotografo a colori”; Flaiano, “un matematico a caccia di equazioni numeriche; Marco Ferreri,
“un uomo d’affari molto serio”. E poi Parise, la Loren, Dino Risi, Brigitte Bardot…
. Adelphi 2015, pp. 588, 26,00 euro