Giovanni Versu
L’affossamento dei secondi
Alba Nuova Editore, Pag 154 Euro 13,00
Tutti avrebbero voluto essere i primi nella
vita, ma in realtà si sprecano i secondi, essendo i terzi e via declinando non
partecipanti a pieno titolo ma convenuti per fare da pubblico quando va bene,
carne da macello perlopiù. I primi, si sa, sono talmente pochi che soffrono in
solitudine, fatta eccezione per quelli che riescono ad assurgere a immaginario
di chi li contempla nei libri di successo – quelli soffrono sì, ma ricevono per
empatia trasmessa e restituita al mittente una solidarietà sentimentale, al
limite dello psicotico, così struggente da intenerire persino i cinici professionisti della cultura: dopo la
condanna a quel destino infelice, esser vincitori nei premi letterari che
contano, è il minimo.
Ma che ne è dei
secondi, di questa pletora di sganasciati stremati moribondi che si affannano
senza soluzione di continuità e senza ricevere le soddisfazioni che meritano?
Ivi si racconta il destino di uno di loro, Maurizio Salvo, politico di lingua
italiana – si fa per dire - accoppato alla nascita da una bruttezza
imbarazzante, reso guercio e più ammaccato ancora da cofane di palate allorché
aveva ai bei tempi andati azzardato collusioni in prima persona nei gentili
rendez-vous fra estremisti di destra e sinistra, fuoriuscito dal mondo del
giornalismo per incontrovertibile inferiorità e miracolato da un Signore cui
uno come lui a quel punto non poté fare a meno di credere, e trascinato da
questa teleologica botta di culo a portavoce di un aggressivo squadrone
politico.
Nell’agile romanzetto -
a chiave fino a un certo punto, quello in cui devi arrenderti all’idea che
tutto questo possa essere davvero “reale” - lo vedi tutti i santi giorni
anfanare come un piccolo mulo ottuso, scoreggiare con tutta la forza che ha in
corpo, sbraitare con la bava alla bocca, lui, munito di due labbrucce vezzose
capaci di trasformarsi subitaneamente in sguaiato latrato e ti chiedi come ciò
sia possibile - se lo domanda lo stesso narratore, il navigato Giovanni Versu,
man mano che ce lo racconta. Perché uno che dovrebbe esser pacificato,
sofisticato da questa ormai lunga frequentazione del potere, proprio non ce la
fa? Perché uno che fino a una dozzina di anni fa marciva nelle fogne della
nostalgia littoria e ora si ritrova come un’immaginetta buddista – vero, non di
prima scelta quanto a gradevolezza estetica – a ogni ora del giorno e della
notte nelle case di quel curioso popolo che si definisce italiano, non si
accontenta dei risultati raggiunti?
In un lavoro che ha le
movenze del romanzo di s-formazione la domanda si fa talmente pressante che il
tono acquista via via la tensione del thriller – diciamo che in questo,
Giovanni Versu, mostra di sapere il fatto suo: tira e molla, accelera,
rallenta, stringe e a tratti scivola in lunghe digressioni che poi si chiudono
secche e taglienti approssimando sempre più la rivelazione definitiva. Che però
non mantiene tutte le sue promesse, perché il sospetto alla fine è che il rebus
si sciolga con troppa facilità. L’affossamento decennale nella geenna ha
lasciato il segno, è questa la rivelazione poco originale e peraltro poco
sorprendente. Ma se è vero che anni di cloaca non si fanno redimere da nessuna
ascesi futura, non ci si potrebbe qualche volta risparmiare esempi di realismo
così greve? Non li si potrebbe
accontentare questi eterni secondi(ni) una buona volta e anticipare loro la via
non del primato ma della santità?
Alcofribas