28 mar 2010

L'onda sulla pellicola


Nell’ufficio di Malerba in quel periodo di campagna elettorale c’era un via vai di giacche e cravatte coi fermagli d’oro. Molte, e riconoscibilissime, le vecchie teste di cazzo democristiane e socialiste che nel ‘94 avevano infilato il preservativo, si erano chiamate forzaitalia e l’avevano allegramente messo in culo all’altra metà del paese. Ma non solo loro. Il bestiario comprendeva tutto l’arco parlamentare. Lasciavano i loro bigliettini con la raccomandazione di distribuirli, ai prof in primo luogo, ma anche agli studenti maggiorenni. Molto si diede da fare Torella, sedicente studente del serale che Malerba aveva fatto iscrivere a febbraio grazie alle insistenze di Zampa, amico suo, che la pregò di “non dar retta alle chiacchiere”, che non era vero che menava palate a destra e a manca - no, pardon, solo a manca; insomma, uno squadrista ripulito a metà e bisognoso al dunque di un minimo di alfabetizzazione, o di un diploma per piazzarsi al comune. Atticciato come un bullo cresciuto senza grandi aiuti dalla natura, lo ammorbava, a lezione alle dieci di sera, con domande impossibili mentre Livio era lì a sfiancarsi per cifre da non ridire, e ogni occasione era buona per far caciara a ufo senza un minimo di logica o di senso. Quando Torella disse che se il saluto romano era proibito bisognava vietare anche il pugno chiuso, Livio si rese conto che aveva da fare con un drogato.
 Livio trovò uno dei suoi bigliettini elettorali su un banco. Dalla foto, dalla verruca pendula del becco, a Livio parve di riconoscere nel padrino di Torella un parlamentare galliforme, un meleàgride gregario e visibilmente guercio alla cerca di un secondo mandato. Che cosa doveva fare, assistere in silenzio?
Una mattina stava facendo lezione in quinto. Al suo solito, anche per tenere la classe sotto controllo, spiegava in piedi, camminando. A un certo punto un sospetto gli trapassò il cranio come un belzebù ballerino in miniatura. Si avvicinò alla porta, continuando a parlare. L’aprì di scatto.
Malerba, appoggiata al muro, lievemente inclinata verso la porta, accennò un sorrisetto. - Oh professore, ho preso una storta - piegò la schiena e tirò su una gamba. - Qui, alla caviglia.
- Male? - fece lui.
Idioti, i sorrisetti, ma intimidatorî. Tutti e due.
- Che fa, sfotte?
Finita l’ora, sfilandoglielo garbatamente via dalle mani, gli domandò cosa ci trovasse di “così interessante” in quel libro, Carnefici, vittime, spettatori. Se lo avvicinò al muso. La smorfia fu quella di chi sente un cattivo odore.
- Dovrebbe smetterla con la politica, professore. I ragazzi non vengono a scuola per sentire comizi.
- Scusi?
- Ho detto che dovrebbe smetterla di fare politica a scuola.
- Infatti, sto solamente facendo lezione, mica propaganda a nessuno. O vorrebbe che saltassi anche il nazismo?
Krishna! Perché sprecarsi in una tenzone dialettica con quel furfante in gonnella e non cercare una particina in un filmetto stronzo qualsiasi che almeno si pagava l’affitto per sei mesi?
- Senta, mi risulta che lei ultimamente faccia chiudere i libri e si mette a parlare di cose assurde. E’ vero? 
- Quali  libri? Comunque. Diciamo che mi limito a spiegar loro quello che l’informazione si guarda bene dal raccontare - disse, pensoso. E preoccupato perché neanche come figurante lo tenevano più in considerazione. Lo consideravano una rogna e basta. Uno che è pagato per fare l’applauso e infila le mani in tasca: dove si era visto mai? Figurarsi se rimediava una particina da qualche parte. Per questo non aveva interlocutori nella sua vita lavorativa a parte Malerba e una  monaca jettatrice.
- Per esempio il fatto che votano tutti è una iattura, è questo che si preoccupa di spiegare ai ragazzi? 




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