Miracoli e traumi della comunicazione
Libro molto interessante questo di Mario Perniola, che
segue di cinque anni Contro la comunicazione, sempre per Einaudi. Perniola,
filosofo appartato ma (o perché) attento come pochi, lamenta, secondo me a
ragione, che al suo pensiero non venga riconosciuto un adeguato valore
politico. Se la comunicazione è l'ambiente in cui viviamo, se essa consiste in
un linguaggio che rompe la mediazione critica e pretende di sottometterci alla
protervia dell'opinione, basterebbe guardare al nostro paese – caso eclatante
ma non unico al mondo – per inscrivere la critica stessa alla comunicazione nel
pensiero politico tutto. Questo atteggiamento infatti rimette in gioco, pensate
un po', l'idea stessa di realtà - oggi schiacciata in un presente privo di
qualsiasi discrezione e discernimento - e con essa le categorie del conflitto.
Da qualche parte Perniola ha scritto: che “o si sta dalla parte della comunicazione mass-mediatica e
allora il risultato sarà l'autodistruzione dell'Occidente: oppure si riattivano
orientamenti e tendenze che non sono risultate egemoniche (come l'Illuminismo) e allora c'è ancora qualche speranza”.
Miracoli e traumi sono i due poli tra i quali oscilla il
regime dell'odierna comunicazione, politica inclusa, per la quale Perniola si
avvale anche del termine anglosassone dumbocracy (predominio della stupidità, più o
meno) - inattesa e perversa declinazione della "sovranità" di Bataille.
Entrambi segnati dall'incredulità romanzesca, dall'assenza di lucidità critica, i miracoli (abbagli collettivi contraddistinti da “un'eccitazione assolutamente sproporzionata al peso degli avvenimenti”) e i traumi (riservati prima di tutto agli sconfitti del terzo mondo, ma non solo) impastano l'ultimo mezzo secolo della storia mondiale. Ciò che definisce davvero quest'arco di tempo è l'impossibilità dell'azione. Anche alcuni fatti straordinari (il Maggio sessantottino, la rivoluzione iraniana del '79, il crollo del muro di Berlino e l'attacco alle torri newyorkesi del 2001) secondo Perniola più che veri e propri avvenimenti responsabili di cambiamenti epocali sarebbero soltanto momenti formidabilmente comunicativi, buoni a segnare una “periodizzazione possibile”, uno schema attraverso il quale registrare la progressiva deriva irrazionale che sottrae la realtà alla possibilità di modificarla attraverso l'azione, nonché alla sua stessa intelligenza.
Entrambi segnati dall'incredulità romanzesca, dall'assenza di lucidità critica, i miracoli (abbagli collettivi contraddistinti da “un'eccitazione assolutamente sproporzionata al peso degli avvenimenti”) e i traumi (riservati prima di tutto agli sconfitti del terzo mondo, ma non solo) impastano l'ultimo mezzo secolo della storia mondiale. Ciò che definisce davvero quest'arco di tempo è l'impossibilità dell'azione. Anche alcuni fatti straordinari (il Maggio sessantottino, la rivoluzione iraniana del '79, il crollo del muro di Berlino e l'attacco alle torri newyorkesi del 2001) secondo Perniola più che veri e propri avvenimenti responsabili di cambiamenti epocali sarebbero soltanto momenti formidabilmente comunicativi, buoni a segnare una “periodizzazione possibile”, uno schema attraverso il quale registrare la progressiva deriva irrazionale che sottrae la realtà alla possibilità di modificarla attraverso l'azione, nonché alla sua stessa intelligenza.
Nel perverso intreccio di surrealismo de facto e tecnocrazia fantascientifica
che trasforma i fatti in miracoli inspiegabili da una parte, e nelle catastrofi
dei dannati della terra sussunti nella regione percettiva del trauma (e perciò
incapaci di reagire) dall'altra, la possibilità di comprendere la realtà sembra
venir meno. Infantilizzazione e presentismo sono la base, il terreno di
coltura adatto di questa incultura, una psicopatologia di massa alimentata da
fenomeni come la new age, l'azzeramento della memoria e l'indecidibilità della
stessa nozione di futuro.
Sulla convinzione di Perniola secondo cui i quattro eventi
principali dell'ultimo mezzo secolo sono stati “meno importanti di quanto
sembra a prima vista”, si potrebbe forse discutere. Certo, è vero che “nel 1968,
dopo lo sciopero selvaggio, tutti sono tornati a lavorare”; è vero che l'aura
simbolica di quell'anno non ha nei fatti anticipato o prodotto un mondo
migliore. Nemmeno per quanto riguarda la pretesa liberazione sessuale si può
parlare di vantaggi postumi - non molto di più di una provocazione mediatica,
per Perniola. Il mito dello spontaneismo e la banalizzazione edonistica della
sessualità non potevano mettere in crisi il capitalismo, che piuttosto se n'è
servito lasciando nelle macerie dell'utopia anche il cadavere di una modalità
dell'esperienza umana fondamentale: la seduzione.
L'età della deregolamentazione, quella che svilisce il
significato storico dell'insegnamento, della critica, e inaugura astruserie
come l'autovalutazione, e un esercizio pseudo-intellettuale di autonomia
solipsistica, in cui tutto è uguale a tutto, inizia con gli anni ottanta; si
tratta di una ripercussione patologica della comunicazione. Negli stessi anni,
Khomeini dà uno strappo al mondo islamico. Personalmente non sarei così sicuro
che “la rivoluzione iraniana non si è propagata a tutto l'Islam ed è rimasta
confinata in un solo paese”. Mi pare che la politicizzazione dell'Islam si
possa documentare anche altrove, mentre è certo che nel mondo musulmano il velo
per molte donne in quegli anni comincia ad assumere un imprevisto, ancorché
controverso, valore di resistenza alla mercificazione pornografica
dell'Occidente, e recupera il senso della seduzione di cui si diceva sopra.
Ora, è ovvio che per tenere le masse sotto scacco, l'ignoranza
deve farsi sistema – e la comunicazione dà una grossa mano alla bisogna. In
questa “selezione al contrario” delle classi dirigenti (non solo in politica),
analoga a quella di cui parlava Solzenicyn a proposito dello stalinismo, viene
promosso al vertice chi obbedisce al dominatore (e noi, dal laboratorio
italiano, potremmo dare lezioni al mondo) in un'escalation di demeriti che
regge fino a quando il sistema crolla perché non sa più far fronte alla realtà
– non sanno nemmeno presentare una lista elettorale. Nel frattempo i regimi
attraggono per la loro faciloneria populista, molto più seduttiva del
ragionamento critico (gli intellettuali dissidenti della Ddr, ricorda Perniola,
non avevano previsto che i loro connazionali sarebbero stato più attratti dal
trash consumistico che dall'idea di un “socialismo dal volto umano”).
Con l'11 settembre, scrive il filosofo, entriamo nell'età
della valutazione (“arbitraria e tendenziosa, iniqua e settaria”), che finirà
con il classificare l’intero genere umano attraverso i suoi gusti, i suoi
orientamenti sessuali etc. Ma l'effetto degli aerei sulle Twin Towers è stato
solo quello di indurre il mondo che si voleva libero a rinunciare a se stesso. “Se
nei decenni precedenti è stato possibile far credere qualsiasi cosa, ora è
possibile far subire qualsiasi cosa” - si pensi alla “guerra infinita” che ne è
derivata. Bin Laden in un certo senso ha vinto usando le stesse armi
dell'Occidente imploso: strategie comunicative. Prive, come si diceva, di
discrezione e discernimento. Come il metro attraverso cui oggi si decide il
valore di un libro: copie vendute, chiacchiera contingente, risultati chez Google. Attualità, presente che
corre veloce, senza senso e senza direzione. Qui ci occupiamo di letteratura, in primis. Ma è un filosofo che ci pone la domanda
fondamentale: Qualcuno scrive ancora libri per il futuro?
michele lupo