A scuola senza fare troppo le vittime
Chissà se è mai capitato a qualche studente
italiano di fare una gita scolastica in Giappone, per di più in compagnia non
del suo insegnante ma di un ispettore scolastico inviato dal ministero. Per poi
trovarsi coinvolto in una serie di situazioni assurde, come maneggiare
l’indecifrabile moneta locale il cui valore deve essere descritto attraverso
smorfie complicate e faticosi sospiri. Oppure di imbattersi in un bizzarro
supplente che si porta a scuola una pentola d’acciaio munita di una struttura
metallica collegata alla presa di corrente per dimostrare come dal “brodo
primordiale dell’ammasso di molecole disordinate ad un certo punto venne fuori
la vita”.
Il passo narrativo di Maurizio Salabelle,
scrittore prematuramente scomparso nel 2003, sembra sulle prime un po’
surreale, come la scuola che racconta, un istituto elementare con classi di 39
persone che cercano di arrivare in tempo in aula per non restare senza il
posto. Eppure il suo andamento avvince perché è in grado di percorrere con
vivida concretezza di fatti e personaggi un paesaggio sorprendente, tutt’altro
che gratuito, nonostante o forse proprio in virtù della natura paradossale
delle storie che racconta -com’è dei bravi scrittori.
Salabelle sembra andare oltre l’intuizione del
carattere mai definitivo che si nasconde nel mondo della scuola, il suo negarsi
sostanziale all’apparente tran tran che avvinghia i più in una morsa di noia o
sfiducia o stanchezza. Anche chi vi lavora da molti anni sa che in una mattina
qualunque può succedere qualcosa che non sarebbe potuta accadere da
nessun’altra parte. Ne Il maestro Atomi, senza mai farne “discorso” ma sempre e solo dentro il dispiegarsi del
racconto, non si tratta più di sorprese che interrompono la routine. La scuola viene reinventata totalmente, ricostruita
come un affatturato e insieme ironico universo guardato attraverso gli occhi di
un ragazzino, la voce narrante, davvero speciale.
Il romanzo, edito da Comix nel 1997, poi
rifabbricato per i tipi Casagrande qualche anno dopo, purtroppo non è
facilmente reperibile. Salabelle nella sua breve vita pubblicò anche con
Garzanti e Bollati Boringhieri ma era uno scrittore che non aspirava - suppongo
- ai grandi numeri. Basti pensare ai protagonisti degli altri suoi libri: un “alcolizzato
da vocabolario” (in Il mio unico amico), un “assistente che non assiste” (in Un assitente inafidabile) e via di questo passo, per cinque romanzi scritti
nell’arco di un decennio.
La sua era una narrativa purissima,
antiretorica, apparentemente in minore – sospesa a mio avviso fra Celati e
Robert Walser - ma niente affatto dimessa, con una sua strana grazia che
coniugava l’assurdo con una precisione descrittiva e soprattutto con una voce
narrante molto divertente. In questo romanzo simulava la cadenza di un’oralità fintamente
svagata ma di strabiliante esattezza. Un libro, fra i non pochi che nella
narrativa italiana sono ambientati fra le pareti di un’aula scolastica, che
resiste al tempo in virtù di una voce peculiare. Di lui scriveva Dario
Voltolini: “Della
sua voce un po' sommessa che non riusciva ad alterarsi alzando i toni, ma solo
e sempre deviando in direzioni poco prevedibili, ci rimane ora solo il versante
scritto, quella che siamo soliti chiamare «voce narrativa», come se ciascun
narratore ne avesse una per dotazione naturale. Invece solo pochi narratori
hanno una voce propria e riconoscibile nella pagina scritta, una voce che
identifichiamo in mezzo a qualunque folla, senza possibilità di errore.
Maurizio era uno di questi”.
I sei capitoli che compongono Il maestro
Atomi possono leggersi in qualsiasi
ordine, dando vita a 720 combinazioni possibili. Ma al di là dell’apparente
eserciziario postmoderno che sarebbe ormai privo d’interesse, e detto solo per
non scoraggiare coloro che dovessero avere la fortuna di trovare il libro e
dare un’occhiata alla quarta di copertina, possiamo piuttosto leggerlo come un
insieme di racconti. Sono storie fra il comico e il fantastico, tutte dentro
una scuola senza epoca inventata per rompere disinvoltamente con una tradizione
narrativa, il racconto fra le mura di un’aula scolastica, troppo spesso incline
al patetico e al vittimistico.
La stravaganza che cifra il libro non è mai compiaciuta,
o letteraria; è negli stessi personaggi: maestri curiosi, supplenti falotici,
studenti buffi e allarmati eppure composti come piccoli Buster Keaton. La
scuola insomma in questo libro disegna una specie di spazio onirico, tramato in
un tessuto di situazioni fantasiose ma serrate nella loro logica alternativa -
una specie di ragione parallela al mondo quotidiano, freddamente emozionata,
curiosa, come forse agli insegnanti piacerebbe vedere nello sguardo dei loro
studenti.
Un libro, uno scrittore lontani dai
volgarissimi spettacoli di oggi, che si tratti delle guerricciole per bande di
scrittori televisivi, o delle fiction sciapi innocue scontatissime
sulla scuola che solo tristissimi figuri di governo possono considerare
pericolose per la democrazia (nella dizione corrente e imperitura, malfamata,
di “comunisti”, va da sé).
michele lupo