Cominciamo dalla fine. Ferroni invoca un principio di responsabilità dello scrittore rispetto al destino del mondo. Detta così sembra assai pomposa. E il
rischio della retorica in effetti serpeggia un po’ per tutto il libretto del
critico, che svolge considerazioni spesso condivisibili ma talvolta banali, fra
il fastidio per la vezzosa scrittura dei soliti Giordano, Mazzantini e il noto poseur torinese (“de cuyo nombre no quiero acordarme”,
scrive) e quello per la vacuità rumorosa di festival, fiere e defilé
mondano-culturali.
Al netto delle ovvie lamentele per lo scempio di una
vita ridotta a reality (al critico però bisogna riconoscere la schiena diritta
di chi preferisce passare per barbogio e passatista piuttosto che abbracciare
il neoestetismo degli scrittori che si vantano di vedere le lavandaie
dell’”Isola”: qualche tempo fa lo ha fatto con tratto pensoso-paraculo Antonio
Pascale nel salotto dell’ironista per principio Serena Dandini), sbucciando via
insomma il di più necessario a impaginare il centinaio di cartelle, resta
l’attacco alla “degradazione del linguaggio e della vita civile” cui molti
scrittori italiani partecipano con scioltezza di manovra e gusto vanesio per la
passerella - magari per segnalare, essi per primi, l'irrilevanza della
messinscena.
Nella stessa cultura che si vuole alta l’andazzo in
corso è accettato come inevitabile; nessuno più mette in discussione il fatto
che un libro esiste solo se ha successo; nessuno crede di doversi giustificare
delle contraddizioni che questo implica. Farei un passo ulteriore rispetto al
libro di Ferroni chiamando alla discussione gli scrittori accondiscendenti che
ritengono normale acquattarsi nel così fan tutti di un’operazione editoriale
come quella responsabile de La solitudine dei numeri primi. In molti mostrano di apprezzare l’editor Antonio
Franchini come scrittore in proprio, ma si guardano bene dal criticarne la
regia che porta il romanzetto di Paolo Giordano non allo Strega, che va da sé
(è “solo” un premio…) ma a una diffusa indulgenza critica. Se Ferroni scrive
che il libro si risolve in “una scrittura plastificata” in cui “la scienza non
c’entra nulla, non diventa in nessun modo principio di organizzazione del
racconto, ma solo generica metafora della solitudine dei due protagonisti (…)
in un intreccio di formule e presupposti mediatici, una superficialissima
disponibilità sentimentale a un’immagine di dolore incantato”, ottimo di questi
tempi per connotare il clima di “un’educata borghesia progressista”, ecco,
mentre un critico scrive questo – e io sottoscrivo – ho l’impressione che molti
scrittori siano affascinati dall’operazione, che la sognino per se stessi.
Perciò, l’equivalenza di cospicua parte del mondo
letterario italiano con la beceraggine della comunicazione (sulla quale da
tempo va scrivendo pagine più impegnative e stimolanti Mario Perniola qui) sta
proprio nel rimosso che la costituisce: il motore, mezzo e fine insieme, è lo
stesso: il marketing, l’efficacia economica - divinità suasorie che non
risparmiano nessuno, tanto da consentire la riesumazione di decomposti cavalli
di troia utili a replicare l’aura di duri e puri stando ben dentro al mercato
dei libri che si ve(n)dono. Fino a qualche settimana fa non risulta che autori
Mondadori o Einaudi si stessero facendo problemi sulle scelte che lo
definiscono; finalmente - ora che va in piazza anche Sabrina Ferilli - è
arrivata una lettera di protesta rispetto all’infame ddl sulle intercettazioni,
acme di un’affezione non so se più acuta o cronica del corpo sociale di questo
tristissimo paese. Di solito, scrittori che si straccino le vesti per la fine
che sta facendo non ne vedi. I più fra gli scrittori italiani brillano per le
loro “scritture a perdere” ma anche per l’assenza di partecipazione alle cose
serie – vedi il disinteresse per la scuola. Credono di cambiare il mondo con un
noir, o con una battuta molto ironica, mentre si aggirano sornioni - senza
l’aria sperduta di Ferroni, che
non vede l’ora di scappare - fra Saloni e Fiere del Libro che al risveglio
culturale di cui abbiamo bisogno come e più del pane partecipano zero,
fatturato a parte - Mondadori e Einaudi, s’intende.