23 ago 2011

Altra musica


Jan Brokken

Nella casa del pianista

Iperborea, paradiso, stiamo lì


copertina del libro
Non vorrei sembrare senza cuore, ma se volessimo trovare qualcosa che non funziona appieno nel romanzo, o biografia romanzata di Jan Brokken, Nella casa del pianista, riguarda proprio il personaggio che ne è protagonista e ispiratore: l’enfant prodige del pianismo russo, anzi sovietico, Youri Egorov. Uno caro agli dei, che ebbe vita breve (1954-1987), complicata più che dalla dissidenza politica stricto sensu, dall’omosessualità per la quale all’epoca in Unione Sovietica si pagavano anni di regime siberiano (e non doveva essere uno scherzo, visto che gli omosessuali erano invisi agli altri prigionieri più ancora che ai carcerieri, con conseguenze non difficili da immaginare). Ovviamente tutto questo Egorov lo sapeva benissimo, ne fu terrorizzato e decise di fuggire. Peraltro, si tratta di un personaggio (questo il punto di cui all’inizio) che non manca di esibire tratti a volte melliflui, la cui sensibilità esacerbata non è tralasciata nel racconto di Brokken (scrittore di viaggi, eterosessuale, lo diciamo per non ingenerare equivoci), che pure ha scritto un omaggio fervido e appassionato all’arte del pianista. 
Il quale fu costretto alla fuga paradossalmente anche dalla madre con la quale scontava un rapporto parrebbe un po’ morboso: lei lo amava di un amore così possessivo da indurla a denunciarlo al kgb se ve ne fosse stato bisogno pur di non vederlo partire. Era stato un amico – il solo cui aveva confessato le sue inclinazioni - a metterlo nei guai, raccontando di lui in giro (inutile dire, il classico stronzo che non dispone del tuo talento e non ha nessuna intenzione di perdonartelo). 
Così, dopo un breve e tormentatissimo passaggio per l’Italia, il pianista se ne andò in Olanda, dove conobbe Brokken, divenne suo grande amico, e trovò il coraggio di rendere pubblica la propria omosessualità. Il movimento omosessuale lo tenne da conto negli anni '80 come un simbolo, la morte per Aids all’epoca poteva essere il destino con cui si disegnava la storia esemplare di un’artista. Brokken ha saccheggiato i diari dell’amico, le sue lettere (glieli lasciò lo stesso musicista), ha utilizzato le conversazioni e le confessioni di anni e ha ricostruito quella che egli stesso definisce una storia non di finzione. Dalla quale ogni lettore può ricavare personali motivi di interesse. Gli appassionati di musica vi troveranno motivi di discettazione su questo o quel musicista, questa o quell’altra concezione interpretativa (ma Egorov non apparteneva al genere del pianista intellettuale, filologico); i lettori più sentimentali la storia di un’amicizia, quella che legò Egorov a Brokken; i più sensibili al côté narrativo, va da sé, la storia di una vita difficile, avventurosa anche suo malgrado, in cui dell’artista è mostrato il lavoro sublime come i cascami psicologici, i vezzi, le ossessioni. Però Nella casa del pianista è anche una specola particolare da cui osservare il paesaggio storico di un tempo che sembra lontanissimo dal nostro e per certe logiche poco artistiche non lo è: basti pensare che persino un concorso pianistico internazionale finiva per soggiacere alle logiche amico-nemico della guerra fredda. In un concorso a Fort Worth, in Texas, il pubblico protestò aspramente contro la giuria che impedì a Egorov con un giudizio “politico” (questa l’opinione generale) di accedere alla finale. Da Bartòk a Sostakovic, in un modo o nell’altro, già grandi musicisti che prima di lui dall’Est comunista ebbero qualcosa a che spartire con l’America, fecero fortuna o la fame, a seconda di come buttava l’opportunismo delle diplomazie.

Cerca nel blog