Ultras come talebani d’epoca – si
chiamavano Parabolani, sempre in bilico
come succede non di rado nel Cattolicesimo sul crinale che separa la
stupidità dalla protervia, con la Croce bene in vista, in questo polpettone
fumettistico, Agorà,
diretto dall’incerto Alejandro Amenábar.
La forma-macchietta è in parte necessitata
dal soggetto - non Ipazia evidentemente, astronoma, matematica, filosofa
“insegnante di strada” interprete del Neo-platonismo, che qui fanno temo un po’
troppo bella (l’attrice è Rachel Weisz) e crucciata fra cerchi ed ellissi come
una padrona di casa che non sa come sistemare tavolo e posate per gli ospiti –
non lei, ovvio, una delle migliaia di vittime dei tiranni che hanno parlato e
legiferato in nome di Dio (qualcuno mi sa dire se conosce una parola più
pesante di questa, “Dio”?); la tragica macchietta è quella dei servi di quei
tiranni, solerti nel far schizzare sangue altrui sui muri di palazzi che
dovevano essere splendidi, di pagani innanzitutto, non disdegnando lo
squartamento di budella di opposti servitori del Signore, un altro, va da sé,
non meno gravoso, non meno incazzato – questi Dei in versione monoteista avendo
in comune un certo animo avvelenato, bisogna dire.
Il film, accampato nel solito rassicurante
formato kolossal, illustrativo, kitsch (fatto caso che la parola è in disuso?
forse perché è stato sdoganato definitivamente e sottratto al ludibrio dai
Baricco, Giordano e Adelphi in caduta libera scambiati per letteratura?)
vorrebbe poi farsi prendere sul serio quando ci mostra la fascinosa Ipazia nel corpore
vili delle sue speculazioni. E
proprio non ce la fa.
Di interessante, volendo, emergerebbe
certa psicologia cattolica, anch’essa oggi trascurata dal “dibattito pubblico”:
la lezione nietzscheana dell’omino risentito, impotente o mal attrezzato (non
soccorre alla bisogna la verifica empirica dell’impazzimento pedofilo di
canoniche sparse a ogni latitudine?), intimamente orientato verso una naturale
schiavitù più che al libero esercizio del pensiero. Lo schiavo personale della
scienziata infatti vede nel Cristianesimo la possibilità di sottrarsi alla sua
condizione, ma intimamente resta invischiato in una colluvie di idee e
sentimenti torbidi, violentissimi. Che sia inventato, lo schiavo, non è il
fallo peggiore dell'a tratti risibile ricostruzione storica.
Epperò di questa coraggiosa figlia di Teone d’Alessandria, con il quale nella
leggendaria biblioteca sottrassero l’opera di Euclide all’obio, l’unica
matematica di cui si ebbe contezza per un millennio, della quale scrisse
Leopardi, che Raffaello volle dipingere nella maschilissima “Scuola di Atene” dei Palazzi Vaticani sotto le sembianze dell’efebico Francesco Maria della Rovere, nipote di papa Giulio II,
per sottrarsi all’ira dei cardinali, dislocandone la figura in una zona più
defilata rispetto al progetto originario, di questo personaggio formidabile
insomma Amenabar ci offre una versione da fiction televisiva, tanto più
pecoreccia quanto più patinata – una plastica digitale tardo hollywoodiana,
impregnata di ridicolo sangue di teste mozzate rese vieppiù gratuite dal fatto
che i Parabolani quelli veri, aizzati dal Vescovo Cirillo (uno che hanno fatto
santo, perché si sa, quanto al peggio, la Chiesa non si fa mai mancare niente)
la donna la squartarono viva con conchiglie affilate (o gusci di ostriche,
stiamo lì) laddove nel film viene solo soffocata dallo schiavo innamorato e
lapidata quando è gia in volo per l’aldilà – non il paradiso evidentemente (fra
le tante cose che Madre Chiesa non ci ha ancora spiegato è che cosa succede
alle anime sfigate per le quali essa ha chiesto scusa secoli dopo avendo
commesso un errore di valutazione in vita: si è fatto in tempo a sottrarle
all’Inferno o chi si è visto si è visto?)
Pare che il ritardo nella distribuzione
del film sia dovuto ai malumori del Vaticano (stanno sempre neri da quelle
parti). Ha ricordato di recente Umberto Eco come durante l’Udienza Generale del
2007 Papa Benedetto XVI abbia fatto “un ritratto a tutto tondo di Cirillo,
omettendo proprio l'episodio dell'assassinio di Ipazia raccontato nel film:
evidentemente nella Chiesa c'è dell'imbarazzo”.
Eccessivi, come sempre, dalle parti di via
della Conciliazione. Zelanti nei momenti sbagliati.
Ma vale la reciproca. Film così ottengono
l’effetto contrario a quello
perseguito dal regista che voleva contrapporre la liberà dell’esercizio
critico al fondamentalismo dei soliti noti. Un messaggio così ovvio viene
mortificato infatti da una scrittura banale, di cui si può facilmente notare il
manicheismo, falsificata in ogni suo fotogramma – persino da una colonna sonora improbabile, data
in pasto agli spettatori corrivi che hanno bisogno di Dan Brown per fare i
conti con secoli di brutte storie e menzogne.
Per questo scopo basterebbe far girare la
notizia che Monsignor Rino Fisichella, vescovo e rettore della Pontificia
Università Lateranense, a proposito dell’ostia consacrata ricevuta da Silvio
Berlusconi nel corso dei funerali di Raimondo Vianello ha dichiarato: «I
divorziati che si sono risposati una seconda volta civilmente non possono
accostarsi alla comunione. Ma con la separazione dalla seconda moglie
Berlusconi è tornato ad una situazione, diciamo così, ex ante”.
Fantastico no?
Be’, basterebbe sapere che c’è chi ha
definito “sottigliezza dottrinale” questa uscita. Basterebbe invocare un po’ di
zelo nei momenti giusti. Basterebbe rimandarli a scuola. Di logica, di pudore.
M