Un'altra recensione dell'amico scomparso da poco.
Gianluca Forse
L’Isola dei fumosi
Bianchetto editore Pag 201
Poiché qualcuno ci ha velatamente lanciato un’accusa
di piaggeria, ci costa molto dover recensire questo brutto libro dell’editore
Bianchetto. Stroncare proprio adesso un titolo dell’editore viterbese potrebbe
sembrare una dimostrazione che la coda è di paglia.
Be’, pensate un po’ quello che volete – non è da
oggi che dimostriamo la nostra indipendenza di giudizio. E’ che effettivamente più
che un passo falso ci sembra un vero salto nel vuoto quello compiuto da
Gianluca Forse – e, of course,
da chi ha creduto in lui. Il romanzo corale è un genere impegnativo, si sa, difficile,
e non è che uno può cavarsela dicendo ma è un esordiente: e chi se ne frega.
Perdonateci, non glielo abbiamo mica chiesto. Poteva cominciare come tutti con
un diario, una letterina alla nonna, una porcatella adolescenziale. Quando poi
vi si aggiungono inspiegabili tratti fantasy diventa davvero un capriccio
indigeribile.
Forse ha voluto strafare, ha voluto scrivere un romanzo
corale e fantasy insieme, un’opera ambiziosissima ci è parso sui temi
dell’esclusione e dell’ingiustizia e dentro per non sbagliarsi ci ha messo
tutto: la Cgil, l’avatar di Galilei apparso abrupto su Facebook, Massimo
Cacciari, un certo D’Orrico che si spaccia per Dorry Cojons, gli intoccabili di
Calcutta cacciati da Facebook, Hillary Clinton, i precari dell’industria del
porno, Concita e Forza Nuova, la redazione del Paradiso degli Orchi al completo
in un tentativo di captatio benevolentiae piuttosto ingenuo – o è l’editor che ci ha messo lo zampino?
Una fantasia sfrenata e debordante si evince dalla
struttura allegorica mutuata con tanto di dedica da Milan Kundera, la cui
triste, recente vicenda incombe come un nume severo su tutto il lavoro, che però
non era francamente alla portata di Forse, forse un tantino spregiudicato. Ma
gli editor, perbacco, gli editor che ci stanno a fare? Forse ci sembra il
classico caso di ragazzo non privo di talento ma come dire ineducato, acerbo e
nello stesso tempo troppo ambizioso. Il genere di libro che aveva intenzione di
scrivere potrà forse, scusate il gioco di parole, riuscirgli fra qualche anno
ma se voli troppo alto quando hai da poco lasciato il nido rischi di
sfracellarti per terra. Le storie non si intrecciano se non con molte
forzature, Facebook come unità di luogo (si fa per dire) dell’intera seconda
parte (il libro è diviso in quattro parti) non convince e quando il laovoro s’imballa
del tutto lasciando personaggi e lettore come stoccafissi immobili, la trovata
di Cacciari come deus ex machina si
rivela perdente, il personaggio dimostrandosi stitico più che statico, incapace
di mandare avanti la storia, troppo vecchio per capire la rete e troppo giovane
per aspirare alla santità. Né c’entrano qui le faccende personali degli
estensori di questa rivista, nemmeno tanto lusingati di essere stati scelti
come estremi risolutori della tormentata vicenda che porta i personaggi del
libro in una remotissima Isola dei fumosi; tuttavia, ci è parso improbabile immaginare il direttore che plana a
bordo di un elicottero per portarli in salvo. E’ pigro, ha il suo bel
caratterino e tante cose da fare. Hillary Clinton poi non è il suo tipo –
bastava fare una telefonata – cosa che Forse avrebbe potuto intuire se poco
poco avesse riletto i fiacchi dialoghi fra i due; se non hanno nulla da dirsi,
non possono tenere la scena per nove pagine di seguito, a meno di non mandare a
quel paese qualsiasi scrupolo di political corretness, cosa che alla moglie di Bill non riesce granché.
Alcofribas