30 set 2010

James Wood in Paradiso

Come funzionano i romanzi
Mondadori




Libro utilissimo questo del critico americano James Wood, certo più di decine di manuali che promettono la ricetta per il bestseller che poi non arriva e lo scorno imbarazza più che addolorare – vedi la nota massima busiana per cui “è ben triste scrivere per vendere, sacrificare tutto il resto, e poi non vendere”.
Utile si diceva soprattutto a chi desidera comprendere alcuni meccanismi del romanzo dall’interno, non per imparare come si costruisce un plot, o come sorprendere il lettore con quattro trucchetti e “colpi di scena”. Il libro di Wood, che lavora a “The New Yoker”, avvicina la materia sì con un approccio tecnico (dallo stesso critico paragonato a quello usato un secolo e mezzo fa da John Ruskin per la pittura) ma per entrare nella macchina del processo creativo e mostrare come la tecnica sia al servizio di uno sguardo sul mondo: come, in sostanza, le questioni di forma siano problemi di contenuto. Se il romanzo insomma è una strategia di narrazione e interpretazione del mondo, si tratta di capire che il modo in cui lo scrittore risolve i problemi tecnici dell’opera ordina quella strategia. Tanto per dare l’idea di alcune delle questioni toccate da Wood, guardiamone qualche passo.
Soccorre intanto la nozione di indiretto libero, il cui uso sapiente rappresenta spesso una chiave di volta nel funzionamento di un romanzo. Non è inutile ricordare per es. come dal punto di vista “veritativo” la narrazione onnisciente sia spesso meno affidabile rispetto a un punto di vista “onestamente” consegnato allo sguardo e alla lingua idiosincratica dell’indiretto libero (o alla prima persona, va da sé). Ci ricorda Wood come W.G. Sebald sia severo al riguardo, ma non varrebbe il prezzo del libro se non fossero mostrati esempi “dal vivo” sull’argomento, da James a Joyce, da Cechov a Flaubert. L’autore dell’Educazione sentimentale è un po’ il punto di irradiazione del libro, per il semplice motivo che è a Flaubert che il moderno guarda come punto di svolta del lavoro romanzesco. Il grado di consapevolezza raggiunto dal romanziere francese in seno alla problematica epistemologica del romanzo (chi e come parla, cosa sa dei fatti, cosa vede…) ha pochi paragoni nella storia. La soluzione che è alla base di quest’arte, c’insegna Flaubert, consiste nel suo paradosso principe, ossia nel nascondimento del lavoro. I bravi scrittori di romanzi lavorano cioè a una specie di “artificio della verosimiglianza” che rende esteticamente credibili le loro storie (nulla ha da spartire questa nozione con la vulgata, rozza idea di realismo, sebbene Wood faccia discendere da Flaubert persino il reportage di guerra così come lo conosciamo) - uno dei corollari che gli scrittori (soprattutto gli stilisti) ben conoscono è il rischio sempre in agguato che la mimesi della voce narrante o dell’indiretto libero dia vita a una lingua corriva.
Centrale Flaubert anche in un altro degli aspetti decisivi del romanzo qui affrontati, l’arte del dettaglio. Sulla pagina del romanziere moderno spesso i dettagli appaiono elencati così come passano sotto gli occhi di un flâneur, senza apparente rigore logico e criterio gerarchico. Il lettore spesso non riesce a decidere se appartengano all’autore o siano il risultato di una scomparsa dello stile letterario (laddove è invece il frutto più mirabile dello stile stesso). Flaubert ci insegna a guardare, insomma – ed è un passo ulteriore rispetto alla smodatezza balzacchiana.
Peraltro, la decisività del dettaglio, avverte Wood, può essere fraintesa. Accumularli senza controllo può alterare la visione fino a comprometterne quella che il critico americano chiama, con il teologo medievale Duns Scoto, ecceità. Questa ridondanza che sbaglia la mira per eccesso – diagnosticata per esempio al Paradiso in un libro recente, pur interessante di Davide Longo, L’uomo verticale – non va confusa con i dettagli “significativamente insignificanti”, e sparsi con studiata nonchalance in una storia e che servono invece a creare l’ambiente che la rende possibile.
Notazioni ed esempi interessanti riguardano anche il linguaggio, il dialogo, il concetto stesso di realismo. E non poteva mancare un capitolo sul personaggio. Fin troppo ovvio e condivisibile il biasimo verso l’imbecillità di chi condanna un romanzo per la presenza di personaggi negativi e dimostra così una totale incomprensione della letteratura di finzione. Non va meglio con chi riduce il personaggio a una sequenza di frasi (questo in realtà succede con i cattivi scrittori), secondo la vulgata che ha tenuto insieme due protagonisti apparentemente agli antipodi della storia letteraria: il nouveau roman, canto del cigno del moderno, e certo post-modern alla John Barth.
Quanto alla mal posta dicotomia di E.M. Forster fra flat e round character (almeno nella sua assolutezza smentita preventimente dal romanzo inglese del ‘700) e discussa qui con esempi doviziosi, sarebbe interessante domandarsi cosa resta oggi, nell’irrealtà dominante, di un’arte del romanzo come ritrattistica morale. Che non abbia timore di quella che il solito poseur (imprenditore della torinese scuola “Holding”), su quello che vorrebbe essere il più prestigioso giornale “de sinistra”, recentemente ha definito come una nozione kitsch: la “profondità”. Leggere il libro di Wood (a prescindere dalla condivisibilità o meno di certe sue opinioni) è anche un salutare esercizio di rigore per ridere poi con più gusto alle fregnacce di chi col kitsch ci campa da sempre e lo fa passare per letteratura.

Cerca nel blog