Come funzionano i romanzi
Mondadori
Libro utilissimo questo del critico
americano James Wood, certo più di decine di manuali che promettono la ricetta
per il bestseller che poi non arriva e lo scorno imbarazza più che addolorare –
vedi la nota massima busiana per cui “è ben triste scrivere per vendere,
sacrificare tutto il resto, e poi non vendere”.
Utile si diceva soprattutto a chi desidera
comprendere alcuni meccanismi del romanzo dall’interno, non per imparare come
si costruisce un plot, o come sorprendere il lettore con quattro trucchetti e
“colpi di scena”. Il libro di Wood, che lavora a “The New Yoker”, avvicina la
materia sì con un approccio tecnico (dallo stesso critico paragonato a quello
usato un secolo e mezzo fa da John Ruskin per la pittura) ma per entrare nella
macchina del processo creativo e mostrare come la tecnica sia al servizio di
uno sguardo sul mondo: come, in sostanza, le questioni di forma siano problemi
di contenuto. Se il romanzo insomma è una strategia di narrazione e
interpretazione del mondo, si tratta di capire che il modo in cui lo scrittore
risolve i problemi tecnici dell’opera ordina quella strategia. Tanto per dare
l’idea di alcune delle questioni toccate da Wood, guardiamone qualche passo.
Soccorre intanto la nozione di indiretto
libero, il cui uso sapiente rappresenta spesso una chiave di volta nel
funzionamento di un romanzo. Non è inutile ricordare per es. come dal punto di
vista “veritativo” la narrazione onnisciente sia spesso meno affidabile
rispetto a un punto di vista “onestamente” consegnato allo sguardo e alla
lingua idiosincratica dell’indiretto libero (o alla prima persona, va da sé).
Ci ricorda Wood come W.G. Sebald sia severo al riguardo, ma non varrebbe il
prezzo del libro se non fossero mostrati esempi “dal vivo” sull’argomento, da
James a Joyce, da Cechov a Flaubert. L’autore dell’Educazione sentimentale è un po’ il punto di irradiazione del libro,
per il semplice motivo che è a Flaubert che il moderno guarda come punto di
svolta del lavoro romanzesco. Il grado di consapevolezza raggiunto dal
romanziere francese in seno alla problematica epistemologica del romanzo (chi e
come parla, cosa sa dei fatti, cosa vede…) ha pochi paragoni nella storia. La
soluzione che è alla base di quest’arte, c’insegna Flaubert, consiste nel suo
paradosso principe, ossia nel nascondimento del lavoro. I bravi scrittori di
romanzi lavorano cioè a una specie di “artificio della verosimiglianza” che
rende esteticamente credibili le loro storie (nulla ha da spartire questa
nozione con la vulgata, rozza idea di realismo, sebbene Wood faccia discendere
da Flaubert persino il reportage di guerra così come lo conosciamo) - uno dei
corollari che gli scrittori (soprattutto gli stilisti) ben conoscono è il
rischio sempre in agguato che la mimesi della voce narrante o dell’indiretto
libero dia vita a una lingua corriva.
Centrale Flaubert anche in un altro degli
aspetti decisivi del romanzo qui affrontati, l’arte del dettaglio. Sulla pagina
del romanziere moderno spesso i dettagli appaiono elencati così come passano
sotto gli occhi di un flâneur, senza apparente rigore logico e criterio
gerarchico. Il lettore spesso non riesce a decidere se appartengano all’autore
o siano il risultato di una
scomparsa dello stile letterario (laddove è invece il frutto più mirabile dello
stile stesso). Flaubert ci insegna a guardare, insomma – ed è un passo
ulteriore rispetto alla smodatezza balzacchiana.
Peraltro, la decisività del dettaglio,
avverte Wood, può essere fraintesa. Accumularli senza controllo può alterare la
visione fino a comprometterne quella che il critico americano chiama, con il
teologo medievale Duns Scoto, ecceità. Questa ridondanza che sbaglia la mira
per eccesso – diagnosticata per esempio al Paradiso in un libro recente, pur
interessante di Davide Longo, L’uomo verticale – non va confusa con i dettagli
“significativamente insignificanti”, e sparsi con studiata nonchalance in una
storia e che servono invece a creare l’ambiente che la rende possibile.
Notazioni ed esempi interessanti riguardano
anche il linguaggio, il dialogo, il concetto stesso di realismo. E non poteva
mancare un capitolo sul personaggio. Fin troppo ovvio e condivisibile il
biasimo verso l’imbecillità di chi condanna un romanzo per la presenza di
personaggi negativi e dimostra così una totale incomprensione della letteratura
di finzione. Non va meglio con chi riduce il personaggio a una sequenza di
frasi (questo in realtà succede con i cattivi scrittori), secondo la vulgata
che ha tenuto insieme due protagonisti apparentemente agli antipodi della
storia letteraria: il nouveau roman,
canto del cigno del moderno, e certo post-modern alla John Barth.
Quanto alla mal posta dicotomia
di E.M. Forster fra flat
e round character (almeno nella sua assolutezza smentita
preventimente dal romanzo inglese del ‘700) e discussa qui con esempi
doviziosi, sarebbe interessante domandarsi cosa resta oggi, nell’irrealtà
dominante, di un’arte del romanzo come ritrattistica morale. Che non abbia
timore di quella che il solito poseur (imprenditore della torinese scuola
“Holding”), su quello che vorrebbe essere il più prestigioso giornale “de
sinistra”, recentemente ha definito come una nozione kitsch: la “profondità”.
Leggere il libro di Wood (a prescindere dalla condivisibilità o meno di certe
sue opinioni) è anche un salutare esercizio di rigore per ridere poi con più
gusto alle fregnacce di chi col kitsch ci campa da sempre e lo fa passare per
letteratura.