Nel condominio di carne
Einaudi, Torino 2003
Ci vogliono prima due cose che spieghino cos’è questo
libro
Una bellezza esatta ma
sulfurea, più Manganelli che Calvino quella qui esposta come una lastra tesa a
fare i conti (perduti in partenza) con l’enigma metamorfico, capriccioso e
multiforme del corpo.
Quando non si compiace
nell’ostentazione estetizzante del trovato linguistisco (tale da mettere
paradossalmente a rischio il pregevole sforzo di metaforizzazione che percorre
il libro) l’esercizio topografico riesce ad approssimare il continente
mostruoso scelleratamente definito ‘organismo’, il concerto delle malattie che
lo invadono, l’apparato sghembo di congegni bislacchi ed eccentrici che lo
abitano - eccentrici poiché nulla tiene insieme l’ensemble.
Impastato di organi rissosi, il
corpo agisce su di noi come un’ interferenza, come una macchina dissonante di
strumenti impazziti la cui musica il proprietario subisce come un intruso cieco e imponderabile. Assistiamo in questo poema
in prosa a quella che l’autore definisce una psichizzazione che rovescia la
facile psicologia della somatizzazione, ragione per cui mentre enuclea gli
accidenti che lo attraversano, il corpo, noi lettori vediamo il suo sguardo
sgomento, freddo e perplesso affacciato sull’enigma che condiziona (che è) la
nostra vita. Veramente un bel libro.