15 mag 2011

Giacomo Sartori - Cielo Nero

http://www.lankelot.eu/letteratura/sartori-giacomo-cielo-nero.html#comment-66209


"Cielo Nero" di Giacomo Sartori (Gaffi Editore) è un romanzo storico cupissimo e intenso, quasi un dramma da camera - benché qui in realtà ci si trovi in una cella, la numero 27 del carcere degli Scalzi dove nell’autunno del 1943 sta per consumarsi la vita di Galeazzo Ciano, genero di Mussolini. Sta pagando il tradimento del duce, l’appoggio alla mozione del 25 luglio che ha cambiato la storia d’Italia.
All’inizio, Ciano è lo sbruffone irriverente di sempre. Visto dall’esterno, sembra che quasi non creda sino in fondo alla sorte che lo aspetta Non è abituato a soccombere. Mostra “la stessa faccia tosta” di quando prendeva in giro Mussolini “nei salotti romani, in presenza dei diplomatici degli altri paesi, nel letto delle amanti”. Ai suoi occhi, difatti, il suocero non è molto di più di una bestia infoiata - in effetti sembra un gara fra tipici galletti italiani.
Sempre stato così peraltro, Ciano, borioso e vanesio, non meno dell’odiato suocero, del quale però resta intimamente succube, nonostante sberleffi e prese per il culo. Lo stesso giudizio che ne dà il suo ex segretario è severo: uno che la gente trovava ridicolo nel suo tentativo di assomigliare al Duce. Il marchese Pucci, al momento intimo di Edda Ciano, ci va giù ancora più duro: niente più che uno squallido opportunista, per lui, ingiustificatamente feroce in molte occasioni militari per esempio. E molto incline a divertirsi. Donne soprattutto, e fascinose.
Ciano non è solo in questa storia. La co-protagonista è la spia della Gestapo Felicitas Beetz (morta peraltro pochi mesi fa), mandata lì a stanare gli ultimi segreti dell’ex ministro, compreso il diario in cui Ciano descriveva il suocero come un servitore dei tedeschi. Il fatto è che Felicitas cade nella trappola di Ciano, cede al suo fascino, è attratta proprio dal suo lato più “galante e sbruffone”, più infantile che superomistico: profondamente italiano. Se ne innamora, fa l’amore con lui, una voragine di verità li fa sprofondare in un pianto incontrollabile (lui, il grande capo e lei, la freddissima spia). Il romanzo di Sartori racconta tutto questo restituendo molto bene la tensione di quei giorni, la pressione insostenibile che grava sui protagonisti e che sembra poter esplodere in ogni momento. Una forza compressa, potenzialmente devastante che Sartori racconta con la sua consueta lingua precisa, sensibilissima agli umori corporali. Questa tensione è la forza maggiore del libro, la capacità del narratore, passo misurato ma dirompente, di registrare il sudore e l’afrore animaleschi della gabbia.
Sartori non cerca chissà quali ragioni storiche sconosciute ma percorre anfratti oscuri della psiche dei personaggi, sensibilissimo al di più di non detto, all’intemperanza dei corpi costretti in uno spazio non solo angusto ma definitivo; gli preme vedere un uomo in una situazione estrema in cui tutto quello che c’è in lui è costretto a uscir fuori.
Non si respira un’aria meno pesante negli esterni, nelle trattative fallimentari della moglie Edda per salvare Ciano. A sua volta Edda era la donna pazzesca che era, una che le corna a Ciano le restituiva con gli interessi, una che diceva quello che pensava con un coraggio o un’incoscienza uniche, una che sapeva perfettamente che razza di sceneggiata fosse Salò. Provò a barattare la libertà dell’ex ministro con i diari scritti sui quaderni della Croce Rossa; e non comprese però la forza di Felicita. La spia che rischiò la pelle ogni giorno per salvare, anche lei, quella dell’uomo.
Nell’arco di alcune settimane fra l’ottobre del ’43 e l’11 gennaio del ’44, mentre il processo e la fucilazione di Ciano si avvicinano, assistiamo però a uno slittamento progressivo verso una profondità del personaggio che non ci aspetteremmo, pur restando Ciano l’uomo irresponsabile e cialtronesco di sempre; in un patetico memoriale, tenta di discolparsi dall’accusa di tradimento arrivando a sostenere che non immaginava le conseguenze del 25 luglio.  Non smette di mentire dunque, ma una delle cose che può fare la letteratura che prova a volare alto è questa: dare aria alla vita seppellita dal legittimo o addirittura sacrosanto giudizio della storia. E così il gesto finale e decisivo della sua vita, quello che spera lo nobiliti agli occhi dei figli, arriva proprio all’ultima pagina – non lo riveliamo. L’idea che soggiace alla pratica scrittoria di Sartori, sospetto sia già nella scelta dell’epigrafe, da W. Gombrowicz: “La letteratura seria non è fatta per facilitare la vita, ma per complicarla”. Altro che mainstream.

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